UN PAESE CAMBIATO PIU' IN FRETTA DEI SUOI LEADER

di Paolo Viana

Una risata vi seppellirà: il vecchio tormentone è l’incubo peggiore dei politici, e Beppe Grillo lo impersona alla perfezione. Da che mondo è mondo, il potere si regge sulla tradizione, sulla legge e sul carisma, e la classe politica italiana ha dei problemi con tutti e tre. Orfana della prima Repubblica e in perenne attesa della terza, oscilla spericolatamente tra condoni e indulti, s’indigna se un terrorista, dopo 26 anni di latitanza, viene arrestato, insulta chi è stato ucciso dalle Br, chiede il trasferimento dei magistrati scomodi, caccia i finanzieri che non obbediscono ai ministri e quando s’avvede che i cittadini non ne possono più dello "stile italiano" si traveste da Rudolph Giuliani. Ma nella New York della tolleranza zero i governatori che vanno contromano in autostrada finiscono dentro, mica cercano di fare i furbi fingendosi parlamentari, e quelli che lo sono non dirottano le autoambulanze per andarsene a spasso.

L’impopolarità bipartisan della nostra classe politica, da cui scaturisce il fenomeno Grillo, non apparirebbe tanto maiuscola se l’Italia non fosse così clamorosamente migliore di chi la rappresenta. Quel che i politici sembrano scordare, e ciò li porta a sottovalutare le "grillate", è che gli italiani non vivono sull’Isola dei famosi ma tirano ugualmente la cinghia; senza attendersi alcun premio si sono caricati in spalla l’euro e il deficit pubblico e ora accettano di lavorare più dei loro padri "soltanto" per pesare un po’ meno sui propri figli.

Questi cittadini sanno bene che le invettive di Grillo sono di pancia e che difficilmente quel che passa per la pancia arriva alla testa, ma una sapienza antica non deve essere scambiata per dabbenaggine. Il comico-tribuno è il catalizzatore di un pensiero fortemente critico nei confronti del sistema politico e questo orientamento preesisteva al V-Day. Grillo, grande animale da palcoscenico, l’ha fiutato, braccato, azzannato. Enfatizzato. La vera sorpresa di questi giorni – purtroppo, tardano ad avvedersene proprio i politici – è che i trecentomila e più che applaudono Grillo e i moltissimi cittadini che, pur non amando il comico, condividono la stessa inquietudine di fondo, sono i veri protagonisti di una commedia il cui finale è tutt’altro che scritto.

Questo movimento d’opinione, infatti, non assomiglia tanto all’Uomo qualunque perché richiama piuttosto altri fenomeni tipici della stagnazione. L’odierna speranza degli italiani, diffusa quanto giustificatamente impaziente, che la politica abbia un sussulto assomiglia piuttosto a quella che proruppe nel primo referendum Segni. Oggi come allora, e dopo tante attese deluse, la sfiducia nella classe politica è alta, le invettive dei guitti altisonanti e la sordità del Palazzo preoccupante. Eppure, oggi come allora, il senso critico con cui la società contesta l’andazzo politico è degno del massimo rispetto, perché a esprimerlo è un Paese che paga ogni giorno un prezzo molto alto per coltivare la comune appartenenza a una società umana, una nazione, uno stato.

Si pone, dunque, il problema di interpretare con sapienza questo sentimento critico, ma ancora costruttivo, degli italiani senza indulgere al nichilismo dei guitti. L’ex presidente Ciampi, quando lo invita a fondare un partito, sa bene che Grillo non ha né gli strumenti né la voglia di intraprendere una simile strada. E sa che, se la sua è una risposta antisistemica, non deve necessariamente diventarlo quella di chi, applaudendolo, mostra il desiderio di dare un’anima nuova al Paese. A questi italiani guarda Napolitano quando ammonisce i politici a far meno passerella in tv e si può ben dire che il capo dello Stato invochi una politica nuova per un Paese che è cambiato più in fretta dei suoi leader. Gli italiani, infatti, non vanno contromano in autostrada.

(da Avvenire del 23 settembre)

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