Twin Peaks!

di Arnaldo Casali

David Lynch oggi compie 75 anni. E proprio in questi giorni, trent’anni fa esatti, debuttava in Italia Twin Peaks, l’opera che – secondo molti – ha diviso in due la storia della televisione.

Avevo sedici anni e non ricordo perché iniziai a seguirla. Ma la risposta tutto sommato è semplice: la messa in onda di quel telefilm era un evento. E a quei tempi esistevano ancora gli eventi televisivi: avevamo solo 6 canali, e il telefilm era reduce da un incredibile successo negli Stati Uniti.

Ero incuriosito e angosciato dalla morte di questa ragazza, anche perché appena pochi mesi prima era morta una mia vicina di casa che aveva la mia età, e io avevo appena un anno in meno di Laura Palmer. Che, peraltro, è stata uccisa il giorno del mio quattordicesimo.

La prima puntata andò in onda il 9 gennaio ma io – in questo giorno in cui il regista compiva l’età che ho io oggi – ero già diventato un fanatico di Twin Peaks.

Non avevo mai sentito parlare, prima di David Lynch: in realtà avevo già visto due suoi film – The Elephant Man Dune – ma non sapevo che fossero suoi. In poche settimane, però, sapevo tutto di lui e di qualsiasi attore facesse parte del mastodontico cast.

Ancora oggi potete ancora farmi domande a quiz sulle loro carriere: chi e come aveva già lavorato con Lynch, chi veniva da West Side Story, chi era un tizio qualunque che il regista aveva notato per strada e reclutato.

Qualche mese l’inizio della messa in onda ci un un incendio nel mio condominio, e io mi misi ad indagare scrivendo un racconto parodistico a puntate – I segreti di 167 Street – in cui mescolavo realtà e surreale, serio e faceto, e pretendevo di risolvere il giallo con le mie fantasticherie, esattamente come Lynch.

Intanto divoravo tutto ciò che riguarda Twin Peaks: il bellissimo disco con la colonna sonora di Angelo Badalamenti e i due romanzi “prequel”: Il diario segreto di Laura Palmer e L’autobiografia di Dale Cooper. 

La cosa più assurda – e seducente – di David Lynch, era il suo modo di lavorare: aveva mandato in onda un telefilm incentrato sull’assassinio di una ragazza senza sapere nemmeno lui chi fosse l’assassino. Infatti, alla fine della prima serie, assurdamente non si scopre. Poi – in modo altrettanto assurdo – viene rivelato a metà della seconda serie. Serie che non finisce e che è rimasta sospesa per 25 anni.

Twin Peaks era un giallo senza soluzione, una telefilm che mescolava il poliziesco, la soap opera e l’horror. Era una cosa rivoluzionaria, ma io a sedici anni non lo potevo certo sapere, visto che della televisione americana conoscevo giusto Arnold, Ralph Supermaxieroe e Casa Keaton. Se Twin Peaks ha riformato la televisione, io mi sono formato con Twin Peaks.

Per capire quanto è pazzo David Lynch, basti pensare che al personaggio di Bob, ovvero il Demonio che si impossessa del padre di Laura e la uccide. E che non è interpretato da un attore, ma da un trovarobe: Frank Silva.

Il primo episodio di Twin Peaks si concludeva con la mamma di Laura Palmer che entrava nella camera della figlia e piangeva. Così, in effetti, si conclude l’episodio pilota, divenuto poi un film distribuito in videocassetta.

Quando Lynch girò la scena, però, di accorse che il trovarobe – Frank Silva – era in campo. Prima del ciak aveva finito di sistemare la stanza e si era nascosto dietro un divano per non essere ripreso, ma gli spuntava un pezzetto di testa. Lynch gli disse di abbassarsi di più, poi ebbe l’illuminazione e gli disse di restare fermo come era, e all’attrice che faceva la madre di Laura  di gridare terrorizzata: improvvisamente, la scena drammatica era diventata una scena horror: nella camera di Laura, la madre, aveva visto il demonio.

Da quel momento Frank Silva divenne uno dei protagonisti, e in tutte le scene da lui interpretate indossò il vestito che aveva quel giorno: un completo jeans. La banalità del male.

Confesso che, se ero rimasto folgorato dalla prima stagione e conquistato dall’umorismo assurdo (in uno dei primi episodi c’è un pesce che finisce in una caffettiera) mano a mano che – nella seconda serie – Twin Peaks perdeva la sua identità di giallo-soap opera per trasformarsi in un delirio visionario senza capo né coda me ne disamoravo, insieme al resto del pubblico.

Quindi se la prima stagione la so ancora a memoria, sulla seconda mi sono decisamente perso. Anche se entrambe le ho videoregistrate e a casa dei miei ho ancora le cassette.

Lo stesso Lynch, in qualche modo, ne prese le distanze, tanto che due anni dopo – nel 1993 – decise di girare un film ispirato a Twin Peaks – Fuoco cammina con me – ma piuttosto che fare il seguito del telefilm, preferì cimentarsi con un antefatto. Che fu un fiasco globale ma che, personalmente, devo dire di avere amato molto.

Ecco, mentre festeggiamo i 75 anni del maestro e i 30 della messa in onda in Italia, io ho iniziato a vedere la terza stagione, uscita nel 2017 non so su quale canale in Italia, ma di cui ho regalato il cofanetto a Beata.

Se il film si rifaceva alla prima stagione, questa terza stagione prosegue invece sulla strada della seconda e propone un viaggio surreale nel delirio che però non delude.

La grandezza di Lynch sta proprio in questo: riesce ad essere fedele al telefilm di trent’anni fa (anche stilisticamente, rifiuta – ad esempio – gli effetti speciali digitali a favore di una fotografia decisamente vintage) e al tempo stesso a creare qualcosa di completamente diverso, spostando anche l’azione che stavolta non si svolge solo a Twin Peaks ma spazia un po’ in tutti gli Stati Uniti. E conferma Lynch per quello che è: un pazzo. Un gigante.

 

 

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