Still Life di Uberto Pasolini

(da non confondersi con il film omonimo di Jia Zhang-Keo)

E’ un film geniale sin dal titolo. E non stupisce di certo visto che a scriverlo e a dirigerlo è un tizio (si chiama come Pasolini ma è nipote di Visconti) che è stato capace di dirigere un gioiello come “Machan” e di produrre un cult come “Full Monty”.

Geniale sin dal titolo, che già da solo dice tantissime cose: “Still life” significa “Natura morta”, ma tradotto alla lettera suona come “ancora vita”, e il film parla di un uomo che vive per i morti: un funzionario comunale che si occupa di cercare i parenti e organizzare i funerali di persone morte in solitudine.

In inglese, poi, la “still water” è l’acqua minerale liscia. Ed è esattamente una “Still life” quella del protagonista del film: una vita liscia, regolare, piatta, tranquilla, vuota. Prima che l’ultimo morto di cui dovrà occuparsi gli farà scoprire la vita.

E’ un film con uno dei messaggi cristiani più potenti che si sia visto negli ultimi anni. Un uomo che dedica la sua vita ai morti, che regala dignità agli ultimi, che coltiva la memoria dei dimenticati e che finisce per donare la sua vita per un morto, un balordo sconosciuto. E la cui vita assume un senso, una dignità, una bellezza, una potenza proprio grazie alla morte.

Diciamoci la verità: la storia di un grigio burocrate che si occupa di funerali non è esattamente la trama più accattivante. Eppure il film, nel suo minimalismo, è dotato di tanta leggerezza, delicatezza e ironia da farne un assoluto capolavoro da non perdere.

Il film è stato presentato alle scuole dallo stesso Pasolini nell’ambito dell’ultima edizione del Terni Film Festival.

GUARDA L’INCONTRO DI UBERTO PASOLINI CON GLI STUDENTI DELLE SCUOLE DI TERNI

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