Se Tolo Tolo…

 

 

 

 

 

 

 

di Arnaldo Casali

Se Tolo avette otato di più sarebbe venuto fuori un capolavoro. E invece è venuto fuori un passo indietro rispetto a Quo Vado?

Poteva, doveva e voleva essere la grande svolta autoriale e impegnata del comico più popolare d’Italia, il film della maturità, il passaggio da Checco Zalone a Luca Medici già dichiarato nei crediti, e invece è venuto fuori un filmetto tra il carino e il mediocre, che fa meno ridere degli altri ma non – a dispetto di quanto si potrebbe credere – perché è più serio, ma semplicemente perché è più stupido.

La satira graffiante di Quo Vado? lascia il posto all’umorismo politicamente corretto, che vuole tenersi buoni tanto il pubblico nazional-popolare che gli ha regalato il successo, quando la critica di sinistra che finora lo ha snobbato e che solo può inserirlo nell’olimpo dei grandi della commedia italiana, tra Sordi, Verdone, Benigni, Nichetti, Troisi e – perché no – Moretti.

Il risultato, però, finisce per essere un’immensa occasione persa, esattamente come Il primo Natale di Ficarra & Picone, ed esattamente per gli stessi motivi.

Un film sulla carta geniale – immerso nell’attualità, socialmente impegnato, sinceramente schierato – finisce per trasformarsi in una farsa, perché l’autore spinge a tavoletta sul pedale della stupidità.

Il grande dramma della commedia italiana di quest’epoca (come, d’altra parte della televisione) è la convinzione che hanno gli autori di avere a che fare con un branco di imbecilli.

Già: si dà per scontato che il pubblico, il grande pubblico, in quanto tale sia ebete e che come tale vada trattato. L’umorismo, quindi, quando anche non è pecoreccio, deve comunque essere primitivo, elementare, comprensibile anche al più ottuso degli spettatori distratti. Il problema è che l’umorismo si basa sul “sentimento del contrario”: la battuta comica deve sorprendere, creare una forma di disagio per essere efficace. E alla settima volta in cui ripeti la gag dell’italiano medio che in Africa sotto le bombe si preoccupa solo della crema con l’acido ialuronico, non fa più ridere perché ormai te l’aspetti, dunque è scontata, banale.

Questo è il problema di Tolo Tolo: il protagonista è il solito personaggio di Checco Zalone. Che già di suo, diciamocelo pure, dopo cinque film avrebbe un po’ rotto le palle, e che in questo film riesce ad attraversare l’inferno senza crescere minimamente, senza evolversi, senza maturare. Ma che proprio per questo, più il film va avanti e più si normalizza perché le sue reazioni diventano sempre più prevedibili.

E’ un vero peccato, perché in fondo l’opera di Zalone trasuda sincerità e buone intenzioni e  si avvale di un cast straordinario, di cui fa parte anche il collega francese (comico, attore e regista) Alexis Michalilk (quello di Cyrano mon amour).

Sotto il profilo della satira, il film risente pesantemente del politicamente corretto: se quando prende in giro gli italiani e i francesi riesce ancora a graffiare (la parodia di Di Maio e Conte è esilarante, ma anche l’auto-parodia di Nichi Vendola funziona) quando lo sguardo si rivolge sull’Africa e gli africani, si trasforma ineluttabilmente in buonismo, e Checco Zalone viene preso dalla sindrome di Giobbe Covatta riproponendo situazioni e personaggi già visti e rivisti.

Per carità, scherzare sull’Africa, sulle sue guerre e sul dramma degli immigrati sarebbe stato insidiosissimo, ma è compito dell’umorista scherzare anche su quello su cui non c’è proprio niente da ridere. E Luca Medici non si è voluto assumere questa responsabilità scegliendo di non rischiare. Così, la satira politica e la satira di costume, quando ci si trasferisce nel Continente Nero, scompare completamente per lasciare spazio alla comicità clownesca, della serie: “Quando sto in Italia rido degli italiani, ma quando sto in Africa rido solo di me stesso”.

Il punto più debole di Tolo Tolo, tuttavia, rimane soprattutto la sindrome da Peter Pan del comico di Zelig, del musicista che fa le parodie delle canzoni e che – giunto dietro la macchina da presa – non sembra avere ancora deciso se vuole fare il regista, l’attore, il cantante o semplicemente lo scemo.

Quello che rende Tolo Tolo un film così stupido è l’aver voluto calare il personaggio di Checco Zalone all’interno di un contesto scottante come le migrazioni africane. Un personaggio che – come si diceva – non cresce mai, tanto è idiota all’inizio quanto alla fine.

Quello che avrebbe potuto – e dovuto fare – Luca Medici, per realizzare davvero il film della svolta, invece, sarebbe stato calare sé stesso – e non il suo personaggio – in quel contesto. L’umorista, quello vero, riesce a far ridere sempre, anche nella tragedia: basti pensare a Il grande dittatore di Chaplin e La vita è bella di Benigni.

Ma Luca Medici, pur tenendosi lontano dai cinepanettoni (basti dire che ha girato in Kenya e non ha fatto una ricostruzione fasulla dell’Africa) non ha avuto il coraggio di seguire l’esempio dei due grandi comici. Il suo non è un umorismo che combatte la paura, ma – al contrario – è una comicità che non ha nulla di serio, nulla di realistico. Ogni gag è paradossale, forzata, esagerata, il suo personaggio si comporta in modo stupido e quasi sempre del tutto insensato, e questo oltre ad impoverire la sceneggiatura riduce anche il potenziale comico.

La scelta di fare, di tutto ciò, un musical, con interventi canori parodistici e quasi sempre fuori luogo, non fa che aggravare ulteriormente la cosa trasformando quella che poteva essere una straordinaria denuncia sociale e satira politica – magari davvero ne La vita è bella del 2020, in un’opera strampalata, poco divertente e fondamentalmente frivola.

Peccato davvero.

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