Ritorno all’anormalità

di Arnaldo Casali

Leggo tanta indignazione per gli assembramenti nei locali del centro. Indignazione che, personalmente, non condivido. Come si dice a Terni, non c’hanno da fare loro, ma quelli che li mandano in giro slegati.

Appellarsi al senso di responsabilità di una popolazione che mai come in questa emergenza sanitaria ha dimostrato di essere totalmente irresponsabile, confidare nel buon senso quando sappiamo che si tratta di un concetto completamente sconosciuto al 90% di noi, non solo è stupido, ma è criminale.

Si poteva superare questa crisi senza mettere agli arresti domiciliari 60 milioni di italiani? Certo che si poteva, se almeno la metà, di questi 60 milioni, fosse dotata di un minimo di buon senso. Ma se c’era, adesso sappiamo che è stato spazzato via da questo virus.

La gente è rimasta a casa solo ed esclusivamente perché a mettere il naso fuori rischiava una denuncia. “Allentiamo le restrizioni” è stato recepito, quindi – come è prevedibile – come un “tana libera tutti”.

Vedo intorno a me gente che vuole riprendere tutto ciò che è rimasto interrotto a marzo, non solo nell’ambito professionale ma persino in quello amatoriale.

Gli amici mi chiedono “Come è stato il ritorno alla normalità?”

Ma Quale Normalità? Per me, personalmente, dal 5 maggio non è cambiato assolutamente nulla. Resto a casa, esco a passeggiare col cane, faccio spesa ogni 15 giorni. Rimango in cassa integrazione, non posso vedere né mio fratello né la mia ragazza, né tornare al mio paese, né incontrare gli amici. E mi sta bene così, perché con 600 contagi e oltre 100 morti al giorno l’emergenza mi pare tutt’altro che finita.

Ma mi sembra che siamo davvero in pochi ad aver interpretato l’allentamento delle restrizioni come allentamento delle restrizioni.

Chi ha un minimo di buon senso, si regola di conseguenza. Tra i locali del centro ho visto cartelli con scritto: “Visto che garantire la sicurezza affidandosi al senso di responsabilità è impossibile, restiamo chiusi”. Ma ovviamente si tratta di eccezioni: c’è, al contrario, chi invita apertamente ad aggirare la legge; in almeno due casi ho visto gestori di attività invitare i propri clienti a dichiararsi “congiunti” per fregarsene della distanza di sicurezza.

Poi ci sono quelli che vanno stracciandosi le vesti perché incontrano per strada gente che non indossa la mascherina. Che quanto a buon senso, per me stanno sullo stesso piano di quelli che si affollano davanti ai bar, perché sono convinti che la mascherina sia una sorta di amuleto: dopo tre mesi ancora non hanno capito a che serve la mascherina. Hanno riempito i profili con la scritto “io resto a casa” ma non hanno capito che – appunto – è a casa che devi restare, non andare in giro mascherato!

In tutto ciò, devo spezzare una lancia a favore delle chiese. In queste settimane ho letto le peggiori contumelie a questo proposito, e sono rimasto in silenzio perché – francamente – nemmeno io condividevo questa fretta di tornare a messa, e non mi sembra che ce l’avesse nemmeno il Papa (che anche stamattina ha detto l’Angelus in diretta streaming per evitare assembramenti in piazza San Pietro).

Posti numerati in tutte le chiese con distanza di almeno un metro e mezzo tra i fedeli, obbligo di mascherina per tutta la celebrazione, niente messalini, niente fila per la comunione, niente scambio della pace, entrate e uscite separate, igienizzante all’ingresso e niente offertorio (nonostante la situazione disperata delle casse parrocchiali).

Stamattina sono stato in ospedale per accompagnare una persona. Non sono nemmeno entrato, ma già all’ingresso sono stato investito da una ventata di dolore.

Lunghe file per entrare ed uscire, una donna che piangeva disperata e un’altra che singhiozzava al telefono perché non la facevano entrare e non le davano notizie.

Non sono nemmeno entrato, ma mi è bastato a provare ancora più disgusto per quelli che si affollano a fare aperitivo, a riaprire tutto, tutto, tutto, per quelli che sono già tornati alla “normalità”.

Ecco, la normalità – amici miei – ce l’avete il sabato sera in via Fratini. Perché all’Ospedale Santa Maria la normalità ancora sa le sognano. E ve la sognerete, se disgraziatamente avrete bisogno anche voi di andarci.

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