Non lasciamo solo Paolo Borrometi

di Arnaldo Casali

Oggi in Italia ci sono 18 giornalisti minacciati dalla mafia e costretti a vivere sotto scorta, anche se si parla sempre di uno solo. Per questo sono meravigliato dal silenzio di Roberto Saviano su due casi gravissimi avvenuti negli ultimi giorni: la busta con il proiettile inviata a Federica Angeli e la scoperta del piano per uccidere Paolo Borrometi, collaboratore dell’Agi e direttore di LaSpia.it

Sia chiaro, nessuno ha il diritto di dettare l’agenda delle dichiarazioni di qualcun altro, e non è certo questo il momento di fare polemiche. Ma questa non vuole essere una polemica ma un appello: Perché la mafia uccide chi è solo, e Saviano lo sa molto bene; per questo è così importante – in questo momento – stringersi attorno a chi non solo è stato minacciato, ma addirittura già condannato a morte dalla mafia.

Non sono io a dirlo, lo ha spiegato il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani in apertura delle lezioni al corso di formazione per giornalisti professionisti a Fiuggi e lo stesso presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, Giulio Francese (a sua volta figlio di un giornalista ucciso dalla mafia – Mario – a cui è stata recentemente dedicata una fiction di Canale 5) scrive che si tratta di “un progetto di morte inequivocabile che deve fortemente scuotere le coscienze, provocando una forte reazione. Vorrei che i maggiori organi di informazione si mobilitassero per accendere i riflettori su questa mafia che alza la testa”. Un appello a tutti i colleghi, a partire dai direttori delle testate, per tornare a parlare di mafia, illuminare il lavoro dei cronisti minacciati dalla criminalità, metterli in condizione di fare il loro mestiere in sicurezza è stato poi l’appello lanciato dagli enti di categoria e le associazioni dei giornalisti, riuniti nella sede della Fnsi, all’indomani delle notizie sulle minacce nei confronti di Paolo Borrometi.

«Nessuno vuole fare l’eroe – ha aggiunto da parte sua Borrometi -. Siamo solo giornalisti che vogliono continuare a raccontare quello che accade”.

Nella conferenza stampa è stato diffuso il testo di un appello a tutti i direttori non solo per tornare a parlare di mafia, ma anche per «richiamare l’attenzione delle istituzioni e degli editori sulle vite precarie di molti dei cronisti che ogni giorno fanno il loro dovere senza alcuna forma di tutela contrattuale». Borrometi è infatti, peraltro, un precario.

Per questo credo che oggi sia un dovere di tutti noi giornalisti, quello di fare scudo – almeno simbolicamente – su due colleghi che rischiano la vita perché fanno forse troppo bene il nostro lavoro.

Per una volta sarebbe davvero utile e importante quell’abusatissimo “Je Suis”: se tutti noi giornalisti “siamo” Borrometi e Angeli, la mafia non potrà ucciderci tutti. Qualcuno se lo ricorda? “E adesso ammazzateci tutti” era diventato prima lo slogan e poi il nome di un movimento sorto in Calabria dopo l’omicidio di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio Regionale.

Un piccolo gesto lo possiamo fare tutti quanti: io mi limito a pubblicare, qui e sul mio giornale, il link del coraggioso sito web di Borrometi. Ma io non sono nessuno, e il mio contributo non credo, purtroppo, che salverà qualche vita. Ma chi ha un grande potere che gli deriva dalla popolarità e dall’autorevolezza su questi temi, penso che anche solo con un piccolo gesto, una parola, una presa di posizione, possa fare moltissimo. Per questo mi auguro di leggere presto di un’attestato di solidarietà del più celebre giornalista antimafia a Borrometi. Che, peraltro, si schierò in sua difesa con un indignato articolo quando – due anni fa – il senatore D’Anna disse che Saviano era “un’icona farlocca” e avrebbe dovuto rinunciare alla scorta.
“C’è, però, un altro aspetto che mi disgusta di questo episodio – aveva scritto il giornalista su Articolo 21 – il silenzio assordante di chi avrebbe potuto (e dovuto) schierarsi in difesa di due persone che rischiano la vita”.

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