IL PREMIO non è stato certo vederlo.


di Arnaldo Casali

Fatico a ricordare un’altra fregatura così colossale. Un film che aveva tutte le premesse del gioiellino: un soggetto originale del tutto insolito per il cinema italiano (il viaggio verso Stoccolma in automobile di uno scrittore italiano che ha vinto il Nobel, accompagnato dai figli avuti da diverse mogli), un autore ancora alle prime armi ma con una solida esperienza come attore e regista teatrale (Alessandro Gassmann), un cast un po’ inflazionato ma di indubbio talento (lo stesso Gassmann, Rocco Papaleo, Anna Foglietta). Un geniaccio come Massimiliano Bruno dietro la tastiera e uno dei più massimi talenti dello spettacolo italiano, incomprensibilmente poco sfruttato dal cinema, come Gigi Proietti: tanto insuperabile mattatore sul palcoscenico quanto insulso protagonista in questo film. Uno che riesce a farti ridere ripetendo le stesse barzellette da quarant’anni, e che in questo film non riesce a strapparti nemmeno un sorriso.

E poi musiche bellissime, fotografia impeccabile, scenari meravigliosi, struttura on the road.

Un progetto di grandissima ambizione, ma letteralmente affondato da una sceneggiatura ignobile,orrenda, infantile: prevedibile e fastidiosa quando punta sulla comicità, ridicola quando cerca di stupire, insostenibile nei pistolotti patetici, totalmente idiota quando vuole essere grottesca. E che ogni minuto che passa peggiora inesorabilmente: tanto che se nei primi minuti non fai che ripetere “bah, “ma insomma…”, alla fine vorresti davvero lanciare insulti e pomodori sullo schermo.

Un insopportabile vorrei ma non posso, un film tanto pretenzioso quanto brutto, che non riesce a centrare nessuno dei suoi obiettivi: non fa ridere, non commuove e non appassiona. Gioca male tutte le sue carte: dai dialoghi improbabili e retorici ai personaggi macchiettistici e privi di spessore, fino ai colpi di scena – uno più idiota dell’altro – e al presunto “messaggio” finale.

Francamente, l’impressione è che sia un film fatto solo perché c’erano un po’ di soldi danesi. Me li vedo, autori e produttori, discutere dicendosi: “Aò, ci sta la possibilità di prendere dei finanziamenti dalla Danimarca: inventiamoci qualcosa!”.

Ecco, mi pare il classico film costruito non su una sceneggiatura che cerca soldi, ma su soldi che cercano una sceneggiatura.

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