Il caso Paolo Rossi era un ragazzo come noi

di Arnaldo Casali

“Paolo Rossi era un ragazzo come noi”. 

La frase più ripetuta sui social, all’indomani della morte di uno dei più grandi calciatori italiani – capocannoniere ai leggendari mondiali del 1982 – è tratta dalla canzone Giulio Cesare di Antonello Venditti, tratta dall’album Venditti e segreti del 1986.

A rovinare la festa, però, arriva il giornalista Massimiliano Coccia, che su facebook scrive: “Il Paolo Rossi che viene citato non è “Pablito” ma il primo studente ucciso alla Sapienza nel 1966 da un gruppo di fascisti. Rossi era un militante socialista, scout, appartenente all’Unione Goliardica Italiana. I suoi assassini non furono mai individuati”.

Coccia pubblica anche una foto di quel Paolo Rossi, ricordato anche da una lapide che si trova all’ingresso della facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza.

La tragedia era iniziata Il 26 aprile 1966 quando, in occasione delle elezioni delle rappresentanze studentesche, nella Facoltà di Lettere si erano verificati degli scontri da un gruppo neofascista e militanti di sinistra. Rossi, studente di architettura, si era preso un pugno in faccia ed era precipitato dalla scalinata, morendo il giorno seguente.

Prima di Coccia, in realtà, a lanciare il caso era stato Ugo Maria Tassinari, che aveva anche pubblicato lo screenshot di un’intervista rilasciata a Repubblica dal cantautore romano:

“Non le pesa, nel suo ruolo di cantautore impegnato, essere associato un po’ troppo al calcio?”. “Il calcio – risponde Venditti – è parte importante per la società, però è vero, a volte le mie canzoni vanno oltre. Un esempio: in “Giulio Cesare” faccio riferimento a Paolo Rossi, ma non è l’eroe del Mundial di Spagna come in molti pensano e hanno pensato. Io ricordavo uno studente morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma nel 1966. “Un ragazzo come me” appunto.

Peccato che nel frattempo lo stesso Venditti abbia pubblicato la celebre frase su facebook, accompagnandola con una foto insieme al campione del mondo. Non solo, ma poco dopo pubblica anche un video che li vede insieme sul palco, e dove Venditti conferma che la canzone è dedicata proprio a lui : “Il vero e unico titolare di questa canzone è lui!” dice nel video.

Dunque, a quale dei due Paolo Rossi è dedicata Giulio Cesare?

A detta del suo autore si direbbe a entrambi, a seconda dell’occasione. Una dedica riciclata, come Candle in the wind di Elton John, scritta per Marylin Monroe nel 1973 e clamorosamente re-intestata a Lady Diana in occasione del funerale?

“Cera un tempo che conveniva stare sulle barricate, un altro in sugli spalti” commenta sarcastico Coccia, mentre Tassinari dà a Venditti del “peracottaro e cialtrone”

La verità è che dall’analisi del testo della canzone non c’è assolutamente nulla che possa ricondurre allo studente ucciso negli scontri della Sapienza, a parte il nome e l’anno.

Parlando dei mondiali del 1966 Venditti canta “La regina d’Inghilterra era Pelé”. La strofa successiva, dedicata ai mondiali del 1986, recita “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.

E’ evidente, dunque, che si tratta del calciatore, che partecipò a quei mondiali anche se non scese mai in campo. Particolare, quest’ultimo, che fa venire un altro sospetto: e cioè che Venditti abbia scritto la canzone, in realtà, prima che si svolgessero mondiali. L’album uscì a dicembre del 1986: è probabile quindi che mentre la Nazionale giocava (male) in Messico e senza Rossi, Venditti avesse non solo scritto ma anche inciso la canzone, con l’intenzione di sfruttare l’onda emotiva di un altro auspicato successo.

Non avrebbe avuto alcun senso citare Paolo Rossi, infatti, se la canzone fosse stata scritta dopo il campionato. E non c’è bisogno di dire che l’uso dell’imperfetto ha una valenza squisitamente romantica, e la canzone vuole mettere a confronto il passato (’66) con il presente (’86). Tanto è vero che, con il passare degli anni, Antonello Venditti per tenerla attuale è arrivato ad aggiornarla, sostituendo i mondiali dell’86 con quelli del 2006 e Paolo Rossi con Francesco Totti.

E’ evidente quindi che Paolo Rossi lo studente, con buona pace di Tassinari e Coccia, c’entra poco e niente. Anche perché Giulio Cesare parla degli anni del liceo e porta – non a caso – proprio il nome della scuola che Venditti frequentava nel 1966. Lo studente morto all’Università “La Sapienza”, quindi, non era affatto un ragazzo come lui, morto davanti ai suoi occhi e non poteva averlo conosciuto. Molto probabilmente, quindi, Venditti ha rilasciato quelle dichiarazioni per darsi un tono di impegno politico.

E’ vero anche, però, che la canzone contiene riferimenti ai movimenti studenteschi, e persino alla “giovane Italia” fascista.

Quale è dunque la verità? A sentire il cantautore romano, tutta. Perché nel dubbio, Venditti rivendica entrambe le dediche.

“Paolo Rossi era un ragazzo come noi” – scriveva in un articolo pubblicato in occasione dei mondiali del 1998 – che a tutti sembrò il Pablito del Mundial di Spagna, era invece un omonimo, il primo morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma, sulla scalinata della facoltà di Legge, che appunto nel ’66 era un ragazzo come me. Un nome banalissimo, buono per un eroe immortale come Pablito e per uno studente morto quando e come non doveva morire”.

Oggi, invece, a chi gli faceva notare questa contraddizione, ha scritto: “La canzone parte anche dall’omonimia dello studente Rossi morto davanti a me nel 1966 che poi si trasforma in Paolo e poi in Totti come spiego proprio a Paolo sul palco in un susseguirsi di flashback fino ad oggi sul filo di una memoria collettiva e futura”.

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