Se c’è una guerra giusta

di Lidia Menapace

Francamente non pensavo di avere “Pace e giustizia” nelle mie mani, come recita il ttiolo del convegno organizzato a Terni da Pax Christi e l’associazione “Sulla Strada”. Nelle mani pensavo di avere solo il mestolo, l’ago per cucire, magari un tasto del computer da schiacciare, un libro, invece sono nelle mie mani pace e giustizia: mi sento quasi schiacciata da questo peso.

E’ un po’ questa l’impressione che viene quando ci viene fatto carico di tutto questo. tuttavia non ci si può tirare indietro, perché da quando Ernesto Balducci ci ricordò il tema dell’interdipendenza – e cioè che siamo tutti legati gli uni agli altri – non possiamo far finta di niente. Quando una cosa viene denunciata apre qualche cassetto nella nostra memoria, invade il nostro cervello e non si può richiudere tutto: quando la conoscenza è arrivata è arrivata.

E quindi non possiamo certamente non farci carico del fatto che pace e giustizia sono nelle nostre mani. La guerra è sempre stata deprecata dall’umanità, sono molto minoritarie le correnti culturali che esaltano la guerra in sé. Generalmente la guerra viene esaltata e giustificata per nobili motivi, ma non è una cosa di per sé vista positivamente: è sempre stata deprecata dai popoli e persino i re e i generali, gli imperatori, i governanti prima di fare la guerra cercano di dare delle giustificazioni.

Il diritto internazionale nei secoli ha stabilito un termine di guerra giusta guerra ingiusta che non è etico, è strettamente giuridico e tuttavia è un tentativo di tenere sotto controllo questo mostro, quindi sono state date delle regole: come si dichiara la guerra, quanto tempo si dà alle popolazioni e alle rappresentanze diplomatiche per lasciare il territorio diventato nemico e mettersi al riparo, quanto tempo si lascia tra a dichiarazione di guerra e l’inizio.

Poi che la popolazione civile è tenuta fuori, la guerra si fa sui campi di battaglia, riguarda i militari: i nemici catturati non sono colpevoli, non sono perciò detenuti ma prigionieri e hanno quindi il diritto di cercare di fuggire e devono essere trattati umanamente.

Tutte queste cose sono state sancite per fare della guerra qualcosa di relativamente non troppo ingiusto. E’ un nobile tentativo che poi Von Klalsen nel XVIII secolo dimostrò essere una pia illusione, perché disse: “La guerra è uno strumento assoluto, chi pensa di regolarla o mente o non capisce, perché la sua caratteristica è quella dell’assolutezza: fin quando l’avversario, che è il nemico, non è vinto, la guerra non finisce”.

Eppure il diritto continua ad occuparsi di questo e dice: ammettiamo pure che ci sia una guerra giusta, siccome “guerra giusta” nel diritto internazionale, è quella di un popolo che ha subito un torto (generalmente un pezzo di territorio che è stato portato via) e se non riesce a recuperare ciò che è suo giuridicamente attraverso un pezzo pacifico – la democrazia, i trattati, gli scambi – questa rivendicazione, la guerra appunto, deve osservare un limite: non portare al nemico danni tali da non poter essere risarciti, perché alla fine della guerra ci sono i danni di guerra da risarcire.

Una delle cause dell’avvento del nazismo, infatti, è stata che dopo la prima guerra mondiale il peso di riparazione di guerra buttato sulla Germania fu tale che la nazione fu presa dal primo che disse: “Germania, risvegliati e lotta contro questi che ti affamano, che ti inducono alla miseria, che ti uccidono con la pace, come prima hanno tentato di ucciderti con la guerra”.

Questo concetto delle riparazioni è molto importante, perché nel caso della Seconda guerra mondiale sono successe alcune cose che rendono impossibile la riparazione e per questo anche giuridicamente la guerra diventa sempre un crimine, perché è un danno che non consente riparazioni: non ci può essere riparazione a Hiroshima; come risarcisci 220000 morti civili di un paese già sconfitto con danni genetici incalcolabili? Essendo incalcolabili non si può stabilire un qualsiasi risarcimento: di conseguenza proprio per la capacità distruttiva degli armamenti, viene meno questo unico barlume di vaga eticità in questo mondo orrendo della guerra. Non per niente tipi che non erano per nulla delle dolci fanciulle, ma personaggi con un pelo sullo stomaco alto così dissero che bisognava non fare più guerre.

Voi sapete chi disse: “Noi reggitori dei popoli, sconvolti per le tragedi che abbiamo visto, vogliamo dire che la guerra è un crimine e bisogna mettere in piedi un ordinamento che la renda impossibile”? Erano tipi come Mao, Stalin, De Gaulle, Truman e Churchill; nessuno di questi era un tipo buono e mite. Ne avevano fatte e ordinate di tutti i colori, tuttavia persino le loro coscienze furono colpite da questa orrenda guerra e per questo è cominciata un’epoca salutata con favore da tutti quelli che avevano subito gli orrori della Seconda guerra mondiale, in cui si sperava di poter mettere al bando la guerra.

Nonostante tutto quell’epoca è finita: la guerra è ritornata nei nostri orizzonti; è questa la ragione per cui la pace è nelle nostre mani oggi, adesso, in questo momento, sempre.

Io non voglio essere allarmista ma certamente se non prendiamo nelle nostre mani questa idea che la pace è la necessità assoluta, che con la pace si possono fare quasi tutte le cose possibili e senza la pace no, se non togliamo qualsiasi non dico giustificazione che non c’è ma anche qualsiasi scusa alla guerra, se non lottiamo contro queste culture dei nemici che ci cambiano la testa, questo mostro vincerà.

Tratto dal numero 34 di Adesso – inverno 2005

La campagna del 2005 per Lidia Menapace presidente della Repubblica

    Questa voce è stata pubblicata in editoriali. Contrassegna il permalink.

    I commenti sono chiusi.