Perché Lundini è un genio (e Littizzetto non fa ridere)

di Arnaldo Casali 

La base della comicità, come è noto, è il sentimento del contrario. Quando assistiamo a una dissonanza, a qualcosa di “strano”, di contrario alla logica o alla normalità, reagiamo con una forma di disagio inconscio che si esprime attraverso la risata. Questo meccanismo vale per tutte le forme di comicità: dal trucco del clown al teatro dell’assurdo.

La geniale parodia di Fazio-Littizzetto ad opera di Lundini-Fanelli

Ovviamente, più quello che fa ridere è “strano” più l’umorismo è raffinato. Quanto più il meccanismo è elementare, tanto più l’umorismo è primitivo. Una delle forme di banali di comicità, ad esempio, è mettere una persona rozza all’interno di un contesto elegante o viceversa.

Più la persona rozza cercherà di comportarsi in modo elegante e più farà ridere, più si lascerà andare a volgarità, più lo sketch sarà primitivo, banale e volgare. Questo filone spazia da Chaplin e Totò – che nei loro personaggi mescolavano povertà e aristocrazia – a Checco Zalone ed Enrico Lucci, fino a degenerare in Pio e Amedeo, che in modo forzatamente rozzo si muovono in contesti ricchi ma tutt’altro eleganti, anzi fondamentalmente già cafoni di loro.

Il tormentone è la forma più elementare di umorismo, proprio perché non sorprende: mira – paradossalmente – non a destabilizzare ma a rassicurare. Le parolacce sono volgari perché rappresentano una forma rassicurante di umorismo, i cinepanettoni sono la forma più becera perché ripropongono sempre le stesse situazioni e quindi – ancora una volta – non destabilizzano ma rassicurano.

 Non a caso Jovanotti cantava:

L’abitudine sai è il peggiore dei guai
Si diventa come due vecchi comici
Che non ridono più
Che non inventano più
Che sono li a rassicurare il pubblico

L’umorismo nero, paradossalmente, è il migliore, perché toccando tematiche tabù crea una risata molto più dirompente. Chi ride è costretto a sentirsi in colpa per il fatto stesso di ridere, e il disagio di sentirsi in colpa lo fa ridere ancora di più. Più sono tabù gli oggetti dell’umorismo – a partire da religione e morte – più fanno ridere. Le parolacce, viceversa, sono la forma più volgare perché sono la forma più elementare di trasgressione.

L’umorismo da quattro soldi, come quello di Luciana Littizzetto per intenderci, è quello che più che additare l’assurdo cerca di spiegartelo. La Littizzetto non disorienta mai lo spettatore, piuttosto si mette – come faceva Mike Bongiorno – al suo posto e gli dà voce, dicendo le cose che direbbe l’italiano medio e si presume stia pensando mentre guarda la trasmissione.
 
In questi giorni Littizzetto è finita al centro di polemiche (e probabilmente di una causa legale) perché ha preso in giro tale Wanda Nara che è offesa.
 
Ora, a prescindere dal merito della polemica, la querelle è interessante perché quello che fa Luciana Littizzetto è proprio prendere in giro. Ovvero la forma di elementare e primitiva di umorismo, quella che fanno gli adolescenti alle scuole medie. In effetti l’umorismo di Luciana Littizzetto, è esattamente quello di un ragazzino di dodici anni che prende in giro la compagna di classe perché c’ha il naso lungo.  Nello specifico, Wanda Nara si era fatta una foto nuda su un cavallo e la Littizzetto, con una serie di battute piuttosto banali, ne aveva stigmatizzato il ridicolo.

Ma ecco, Lucianina dice: “Guarda quella, pensa di essere sexy e invece è buffa”. E non va oltre. Non riesce ad elaborare niente di realmente comico. Anzi, si prende dannatamente sul serio tanto che spesso i suoi monologhi pseudo-comici si trasformano in seriosissimi pipponi paternalisti.
E questo a differenza di Fabio Fazio, che non fa il comico ma ha molto più senso dell’umorismo, tanto da rubarle la scena quando all’improvviso – quindi a sorpresa – si mette a fare l’imitazione di Conte. Quello sì che fa ridere, perché non te lo aspetti. L’umorismo è qualcosa di imprevedibile.
VaLerio LundiNi rappresenta l’antitesi della Littizzetto: Lundini non solo non usa tormentoni, né imitazioni, né dialetto, né parodie e rifiuta qualsiasi dinamica relazionale già vista in televisione (basti pensare al rapporto con Emanuela Fanelli), ma cambia ad ogni sketch dinamiche, generi e gli stessi meccanismi della comicità. Le interviste con gli ospiti non seguono mai una struttura collaudata. Non sono né autentiche ma ironiche alla David Letterman, né monologhi comici “sputati” sull’ospite (come Dario Vergassola), né sketch comici alla Saturday Night Live, ma nemmeno scherzi all’ospite che puntano a metterlo in difficoltà in stile Iene.

Non si capisce nemmeno quanto gli sketch siano preparati con l’ospite, perché l’intervistato risponde – quasi sempre – in modo normale alle domande assurde del conduttore, dando l’impressione che sia inconsapevole, e sorprendendoti poi improvvisamente con una risposta altrettanto assurda.

Di fatto ogni intervista cambia registro comico, cambia genere, cambia dinamiche: si va dall’attesa di un’esplosione comica di Caterina Guzzanti che in realtà non arriva mai (come una barzelletta senza finale) all’invasione degli zombi. Ogni volta c’è almeno un’idea completamente inedita e questo rende l’umorismo assai meno popolare ma incredibilmente raffinato.

Una pezza di Lundini (ma anche tutti gli altri suoi lavori) è surrealismo puro: è un umorismo raffinatissimo perché sorprende in continuazione:  molto più vicino a Ionesco e a Lynch che ad uno spettacolo di cabaret. Spesso, poi, propone dei veri e propri salti mortali, con non uno, ma continui spostamenti di senso. L’effetto comico è dovuto al fatto che un personaggio si comporta in modo completamente assurdo. Sul finale, però, si scopre che aveva ragione lui.
Come mai, allora, la Littizzetto sta da quindici anni in prima serata e Lundini è confinato saltuariamente negli abissi più profondi di Rai 2?
Semplice: perché non è da tutti. La sua comicità è elitaria proprio perché troppo raffinata.
Perché  l’umorismo – immagino si sia capito – è direttamente proporzionale all’intelligenza. Si ride di ciò che non si capisce: più capisci meno ridi. Gli scemi ridono sempre perché non capiscono niente. 
Per questa ragione le persone di intelligenza medio-bassa trovano divertenti cose che a persone più colte e intelligenti non fanno ridere.
Al tempo stesso, però,  l’umorismo troppo raffinato non fa ridere persone dall’intelligenza e la cultura medio-bassa.0 Perché? Perché una barzelletta la devi capire per ridere. Perché è vero che la risata è un sintomo di disagio, ma questo disagio deve essere – in qualche modo – inquadrato: l’umorismo è come un vaccino. Potremmo definirlo un vaccino contro la stupidità, perché ti sorprende e ti disorienta ma al tempo stesso ti dice che è giusto sorprenderti e disorientarti.
Andy Kaufman è passato alla storia perché era un comico borderline: il suo voler sorprendere ad ogni costo, mescolando realtà e finzione, lo ha portato oltre i confini dell’umorismo.  Perché l’umorismo prevede comunque che ci sia un patto implicito un accordo tra chi fa ridere e chi ride, un’intesa, una complicità. Se viene a mancare, non si ride più.

 

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