E’ NATA UNA STELLA

di Arnaldo Casali

Lady Gaga batte i Queen per 4-0.

Soggetto, sceneggiatura, interpretazione e musica dell’autobiografia del brutto anatroccolo newyorkese superano nettamente la biografia del gruppo dal quale – Lady Gaga – ha preso preso il nome.

Se Bohemian Rhapsody è un affresco magniloquente ma sopravvalutato, con un racconto che si spaccia per biografia fedele di una grande rockstar degli anni ’80, ma risulta edulcorato e pesantemente rimaneggiato rispetto alla realtà storica, A Star is Born è esattamente il contrario: la rivisitazione di un grande classico che sta al cinema come Romeo e Giulietta sta al teatro, ma che nella sua riscrittura va a raccontare in modo sorprendentemente fedele la vicenda dell’attrice protagonista, che è anche la più grande rockstar del momento.

E se la storia di Freddie Mercury e dei Queen, proprio per la sua poca sincerità, risulta appagante sotto il profilo estetico ma non scalda il cuore, la fiaba romantica del grande divo che si innamora di un’artista sconosciuta e le lascia il suo posto nell’olimpo si trasforma in due ore di lacrime e commozione, tanto che quando esci – con gli occhi ancora rossi – non puoi che domandarti da quanto tempo non piangevi così tanto al cinema.

E’ Nata una stella, come si diceva, è uno dei più grandi classici della settima arte: conta quattro film, tre Oscar veri e due Grammy veri, due Oscar fittizzi e due Grammy altrettanto fittizzi.

La prima versione risale nientemeno che al 1937, e già allora raccontava una storia vecchia come il cinema.

Il film diretto da William A. Wellman e interpretato da due premi Oscar come Jane Ganyor e Frederic March (e un cast che comprendeva anche Adolphe Menju e Lionel Standler) si rifaceva infatti in parte a un altro film (A che prezzo Hollywood del 1932) e in parte a una storia vera: quella di Mary Pickford e del suo primo marito Owen Moore.

Mary Pickford è stata una delle prime grandi dive del cinema muto: soprannominata “la fidanzatina d’America”, ha fondato la United Artists con Charlie Chaplin, David W. Griffith e Douglas Fairbanks  e ha vinto due Oscar a distanza di più di quarant’anni: uno come migliore attrice nel 1930 e uno alla carriera, nel 1976.

Owen Moore era uno degli attori più celebri di Hollywood quando – nel 1909 – aveva conosciuto a teatro la giovane attrice e l’aveva fatta debuttare sul grande schermo al suo fianco.

Quando la sua carriera era stata messa in ombra dalla rapida ascesa della moglie, Owen si era rifugiato nell’alcool, iniziando un declino che in poco tempo l’avrebbe portato al divorzio e alla morte, nel 1939.

A rendere quella storia senza tempo drammaticamente reale c’è il fatto che l’ultima interpretazione di Moore sia proprio un ruolo minore in E’ nata una stella.

D’altra parte sin dalla sua prima versione il melodramma hollywoodiano è molto autoreferenziale: una delle scene più importanti è ambientata infatti proprio alla Notte degli Oscar, con Norman ubriaco che rovina la premiazione di Vicki. Il film, poi, un Oscar lo avrebbe vinto davvero, per la sceneggiatura.

Nel 1954 George Cukor dirige un remake del film, interpretato dalla più grande diva del momento: Judy Garland, affiancata da James Mason. Anche in questo caso i protagonisti del musical sono due attori di Hollywood e torna la scena ambientata durante la Notte degli Oscar, che questa volta – però – non si avvera: nonostante la 6 nomination – tutte nelle categorie principali – infatti, il film non ne vincerà nessuno.

La terza versione, diretta da Frank Pierson nel 1976, sposta l’ambientazione dal mondo del cinema al quello della musica: la stella nascente, stavolta, è interpreta dalla più celebre attrice e cantante del tempo: Barbra Streisand, mentre il marito-pigmalione è interpretato dal cantante country e attore Kris Kristofferson.

Nella nuova versione il cantante rock John è già alcolilzzato e tossicodipendente quando incontra in un night la sconosciuta Esther. A differenza del suo modello originale, però, John tradisce la moglie e i due finiscono – anche se solo per un periodo – per separarsi. Se nella prima versione, poi, l’uomo si suicidava proprio per lasciare libera la moglie (che avrebbe rinunciato alla carriera per fargli da infermiera) qui John muore in un incidente d’auto.

La cerimonia degli Oscar viene sostituita con quella dei Grammy. Anche in questo caso, la finzione diventerà realtà: Barbra Straisand vince infatti veramente il Grammy per  Evergreen  e per la stessa canzone vincerà anche l’Oscar.

Tornata dopo più di quarant’anni, l’ultima versione di E’ nata una stella, diretta e interpretata da Bradley Cooper, segna il debutto dell’attore come regista e cantante e di Lady Gaga come protagonista di un film.

La sceneggiatura riprende in gran parte il copione del 1976 recuperando però anche molti elementi della versione originale, ma anche tanti della vita della stessa Lady Gaga: dagli esordi in locali di drag queen alla carriera da pop star che finisce per nascondere il suo talento e la sua anima, fino ai complessi per i suoi difetti fisici.

In effetti quello che rende così emotivamente coinvolgente il film, è proprio la verità che traspira: il film ci mostra, di fatto, per la prima volta il vero volto di Lady Gaga, senza parrucche, vestiti ridicoli e trucco pesante. E scopriamo, che – effettivamente – Stefani Joanne Angelina Germanotta è una ragazza bruttina e insignificante, come il suo odiato naso e i suoi capelli, che contribuiscono a renderla tanto complessata e insicura, ma con una dolcezza, una voce e un talento che non possono non farti innamorare follemente, come accade a Jack. Un talento che, però per entrare nell’industria discografica e conquistare le masse, viene nascosto dietro un look aggressivo, sintetizzatori, coreografie pacchiane e ballerine, mentre le incantevoli ballate folk sono costrette a cedere il passo al pop più commerciale. Anche il passato da crooner del padre di Allie è una strizzata d’occhio a Tony Bennet, ultimo grande crooner e “padre artistico” di Gaga.

La storia commuove tanto anche perché, contrariamente a quelle che siamo abituati a vedere al cinema – ma anche a dispetto del prototipo – racconta un amore puro, che non cede né ad egoismi, né a tradimenti, né tanto meno a separazioni. Allie e Jack si amano: si amano davvero e si amano per tutto i film. Affrontano insieme anche i momenti più drammatici, cosa che rende il finale ancora più straziante. D’altra parte non c’era bisogno dello sguardo complice che i due protagonisti si sono scambiati alla Notte degli Oscar e che ha fatto discutere per giorni (“ogni uomo vorrebbe trovare una donna che lo guarda come Lady Gaga guardava Bradley Cooper” si è detto) per capire che tra i due ci sia una forte intesa e una vera amicizia, che contribuiscono a rendere così trascinanti i duetti.

“Ho abbandonato Stefani per molto tempo – ha detto la rockstar in lacrime agli American Cinematheque Awards – e mi sentivo un supereroe a farmi chiamare Lady Gaga. E Bradley mi ha lanciato questa sfida: farmi ritrovare Stefani, perché per questo film sono dovuta tornare ad essere Stefani. E per questo ti sono così grata: non solo per aver fatto di me un’attrice più brava, ma perché non ho trovato solo un grande professionista, ma un amico che mi ha fatto sentire me stessa e non mi ha mai giudicato. E questo per me significa tutto: non ho mai avuto un’esperienza artistica come questa, prima”.

Ancora una volta, poi, Hollywood approfitta di questa storia d’amore per autocelebrarsi: se l’etichetta discografica che lancia Allie è la stessa di Lady Gaga e della colonna sonora del film (la Interscope), non manca – nella pellicola – una sortita al Saturday Night Live (il più celebre spettacolo televisivo americano) con una comparsata di Alec Baldwin nei panni di sé stesso, e – ancora una volta – la cerimonia dei Grammy, con premiazione e gaffe incluse.

E anche questa volta il film non ha mancato di essere  profetico:  con la stupenda Shallow Lady Gaga ha vinto infatti sia il Grammy che l’Oscar.

P.S.

Che poi, a dirla tutta, Lady Gaga non ha mai cantato Radio Ga Ga, nonostante si sia esibita con i Queen. Ma, d’altra parte, nemmeno i Rolling Stones hanno mai cantato Rollin’ Stone, nonostante abbiano suonato con Muddy Waters.


 

 

 

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