Diario di bordo: destinazione Sarajevo

8/09/2012

Alle 14:35 alla stazione di Terni, la redazione di Adesso è in perfetto orario per prende il treno. Cosa non scontata dato il difetto dei più nel non essere mai puntuali, ma l’appuntamento è troppo importante perché si possa perdere tempo. Prima tappa Ancona.

Alle 20:35 si prende il traghetto.  Il porto di Ancona non è troppo lontano, ha detto la signora in macchina ferma davanti la stazione dei treni, uno o due chilometri. Cosi decidiamo di camminare con zaini e valigie in spalla verso la meta stabilità. Il problema è che, catturati dall’entusiasmo del viaggio, non abbiamo fatto i conti con il peso che portiamo con noi. La camminata sembra trasformarsi in un esodo. Stanchi e sudati, vediamo là, di fronte a noi, la Dalmazia pronta a salpare.

La notte rende tutto più misterioso e bello. Dal ponte della nave vediamo Ancona. Appollaiata sulla collina,  è come se estendesse le sue luci verso il vuoto per augurare buon viaggio  a coloro che si stanno  per inoltrare nel buio, tra cielo e mare.

Siamo circondati da tanta gente,  volti e nazionalità differenti, stipati tutti per dodici ore nello stesso microcosmo. Ci sono i filippini dell’equipaggio che non conoscono l’italiano, i gruppi organizzati cha vanno in preghiera a Medjugorje. Ma anche passeggeri solitari, come i tre ragazzi incontrati sul ponte della nave che danno spettacolo con le loro chitarre. I tre non si conoscevano, il bello di viaggiare è anche questo, giri consoci e scopri. Uno è un italiano diretto a Spalato per lavoro, un altro è argentino in giro per l’Europa e l’altro è un bosniaco. La nazionalità dell’ultimo ci colpisce, cosi  prendiamo indirizzi e recapiti telefonici con la promessa di incontrarci a Sarajevo e ascoltare la sua di Sarajevo.  

9/09/2012

Alle 9: 30 il bus fermo a Spalato è pronto per portarci nella capitale bosniaca, ci aspettano altre sette ore di strada, ma noi non demordiamo. Ancora volti a farci compagnia, come quello della ragazza svizzera che viaggia da sola.  Con lei si parla del più e del meno, cosa facciamo nella vita, dove stiamo andando. Ognuno in comune ha il viaggio ma con appuntamenti diversi, lei ci lascia a metà percorso. 

Poi c’è una coppia d’anziani Americani, lui nato in Croazia e lei nata a Sarajevo. Per ore sono seduti affianco a noi, senza rendersi conto, l’uno dell’altro, che possiamo comunicare in inglese. Fino a quando un piccolo gesto,  ci fa conoscere.  Hanno due figli, un avvocato e un farmacista. Si parla di politica, di Berlusconi e di Obama. Marian, cosi si chiama il croato, spera che le prossime elezioni le vinca di nuovo il primo presidente afro-americano nella storia degli USA. Si parla di quando decisero, appena sposati di andar a vivere altrove, ma in quei tempi le cose non erano facili per chi, da in un paese Comunista,  come la Repubblica Federale di Jugoslavia, voleva andarsene negli Stati Uniti d’America. Poi ancora altre storie,  come quella di quando tornarono a trovare i famigliari nel 1991 e furono costretti a scappare via per causa della guerra civile tra croati e serbi.  È in questi momento che mi piace vedere come è possibile intrecciare la storia generale di un epoca con quella personale di uno che l’ha vissuta.

Intanto,  tra una chiacchiera e l’altra, facciamo una strada che passa di villaggio in villaggio. Vediamo una natura bellissima  interrotta qua e là da  costruzioni  fatte dall’uomo che sono un po’ meno belle. Il paesaggio,  appena superata la frontiera cambia di netto, si passa dalle tante Chiese cattoliche nei paesini di pescatori lungo la costa croata alle tante moschee, ognuna con il suo minareto, nei villaggi di pastori e contadini nell’entroterra bosniaco. Uno strano effetto mi fa vedere tutte queste moschee in Europa, ma di strano non c’è nulla visto che sono io lo straniero.

Sono le 17: 30 quando l’autobus si ferma a Sarajevo.

Mi rendo conto con mano perché è chiamata la Gerusalemme d’Europa.

Se dovessi lasciare spazio nella pagina ai pensieri che si sono accumulati in questa settimana prima della partenza, credo che non mi basterebbe. Abbiamo studiato la storia, la cultura, la politica, abbiamo visto film  su questa terra. Ne abbiamo assaggiato la complessità e l’assurdità delle tante guerre. Ora siamo qua per scoprirne l’anima della gente che l’ha vissuta e la vive.

Nel 1989, Milosevic, in un suo discorso alla folla di serbi  che si era radunata per celebrare il sesto centenario della battaglia di Gazimestan, nelle vicinanze della capitale del Kosovo, disse:  “dopo sei secoli, siamo di nuovo impegnati in Battaglia e dispute. Non sono battaglie con le armi ma non si può mai dire”.

Non poteva essere più tristemente profetico di così. Poi le armi risuonarono.                                                                                                                                                                                                                                                   Michele 

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