Sono andato a vedere SUPERVACANZE DI NATALE

di Arnaldo Casali

Perché l’hai fatto? Direte voi.

Innanzitutto perché sono vent’anni che parlo male dei cinepanettoni avendone visto uno solo (A spasso nel tempo, 1996); un genere che ha senza dubbio segnato un’epoca e generato parodie geniali come quelle di Maccio Capatonda (Natale al cesso) e Boris (Natale nello spazio e Natale con la casta) e tentativi di elevare il genere come il “cinepandoro” di Alessandro D’Alatri (Commediasexi)

E poi l’operazione-antologia mi sembrava geniale: se sono trent’anni che fai sempre gli stessi sketch, ripeti le stesse becere battute, con gli stessi attori, la stessa volgarità, le stesse situazioni, le stesse trame, le stesse scorregge, perché anziché spendere soldi per fare un film nuovo non mettere insieme una bella antologia a costo zero, raccogliendo e riproponendo le scenette che la gente si va a cercare su youtube con una bella autocelebrazione dei cinepanettoni e un effetto nostalgia che a Natale ci sta sempre bene?

Mai viste, peraltro, polemiche più ridicole: Christian De Sica si lamenta di essere diventato il protagonista di un film senza essere stato interpellato e senza prendere soldi, ma dicesi contratto, cocco. Massimo Boldi, comico totalmente privo del senso del ridicolo, addirittura denuncia il produttore per “concorrenza sleale” perché il film esce in contemporanea con il suo nuovo cinepanettone, prodotto dal fratello.

Infine, Neri Parenti – che ha diretto buona parte di quei film – accusa Paolo Ruffini di aver firmato la pellicola senza averne girato nemmeno un metro. Ma anche questa è la dura legge del cinema, dove il regista non è chi gira il film, ma chi lo monta. Hollywood è piena di esempi – a cominciare da Via col vento – di opere che hanno visto succedersi diversi registi durante la lavorazione, ma accreditate solo all’ultimo arrivato.

Il caso più clamoroso è senza dubbio quello di un altro “superfilm”: Superman II, girato al 75% da Richard Donner e firmato da Richard Lester che si è limitato a concluderlo. Tra l’altro i due registi – a parte il nome di battesimo – non hanno praticamente niente in comune e il loro stile è completamente diverso; e siccome Donner ha girato anche Superman  e Lester anche Superman III si nota chiaramente come il secondo film assomigli moltissimo al primo e per niente al terzo.

Insomma, andare a vedere Supervacanze di Natale da una parte poteva essere il modo, per l’appunto, per vederseli tutti senza averne mai visto uno, dall’altra poteva essere un tuffo nostalgico nei fantasmi del Natale passato; ma soprattutto, avrebbe avuto un valore storico, visto che sono anni che gli autori ci ripetono che un giorno per conoscere l’Italia bisognerà guardare i loro film.

Il SuperVacanze avrebbe dovuto mostrarci, quindi, l’evoluzione-involuzione dei film di Natale da commedia popolare a farsa pecoreccia e farsi specchio dell’Italia natalizia degli ultimi 35 anni.

Non ho la minima stima di Paolo Ruffini, ma la sua regia si presentava come trovata squisitamente commerciale: il comico toscano, di fatto, doveva limitarsi a firmare un’antologia di spezzoni diretti da altri registi (Vanzina, Oldoini, Parenti, De Biasi). Abbastanza facile, no? Non è che ci voleva Quentin Tarantino, per dare un senso all’operazione.

E poi lo confesso: auto-accusandomi di essere un pochino snob, mi sono detto: “Suvvìa, vattele a fare, queste quattro risate facili, per una volta!”.

Invece, pur partendo con aspettative direi proprio non troppo elevate, il film è riuscito a deludermi. E non per il fatto che, cosa prevedibile, di risata il film non me ne ha strappata nemmeno una.

Innanzitutto va detto che SuperVacanze di Natale non è nemmeno un vero e proprio cinepanettone; nel senso che di panettone – in un’ora e mezza – ce ne è poco: più che il meglio di Vacanze di Natale, infatti, il film è un collage di commedie prodotte da Aurelio De Laurentis negli ultimi 35 anni e comprende film come Yuppies  che, al di là del periodo di uscita e della stupidità della sceneggiatura, con il Natale non hanno niente a che fare.

Se bisogna celebrare il famigerato cinepanettone, invece, bisognerebbe anche farne una storia: il genere affonda le sue radici nel 1983 ma in realtà si afferma definitivamente negli anni 2000.

Vacanze di Natale di Carlo Vanzina era infatti un film di tutt’altro genere: commedia vacanziera e corale che vedeva mattatori Jerry Calà e Christian De Sica, era nata per proseguire il filone iniziato con Sapore di mare ed e ebbe come unico vero seguito Vacanze in America (stesso regista e stesso cast un anno dopo, ma prodotto da Cecchi Gori).

Molti anni dopo De Laurentis cerca di rilanciare il filone con una sorta di remake:  Vacanze di Natale ’90 e Vacanze di Natale ’91 che vedono Oldoini al posto di Vanzina e Massimo Boldi al posto di Calà. Il cinepanettone vero e proprio, però – quello che punta più decisamente su scenari esotici e una comicità di bassissima lega – arriva quattro anni dopo con Vacanze di Natale ’95 di Neri Parenti.

Eppure, ci saranno ancora tentativi di cambiare quantomeno il contesto (A spasso nel tempo, Paparazzi, Tifosi, Bodyguards) prima che il cinepanettone si affermi definitivamente con Vacanze di Natale 2000, cui seguono Merry Christmas e tutte le variazioni sul tema (Natale sul Nilo, in India, a Miami, a New York, in crociera, a Rio, a Beverly Hills, in Sudafrica).

Christmas in Love, nel 2004, segna il divorzio della coppia Boldi-De Sica, che è poi in realtà quello tra De Laurentis e Boldi, sostituito da Massimo Ghini e artefice di una sorta di “scisma” creato con  cinepanettoni di altre marche (A Natale mi sposo, Matrimonio a Parigi, Matrimonio al sud, Un Natale al sud e quest’anno Un Natale da Chef).

Forse è proprio la congestione generata dalla concorrenza che porta, nella seconda metà degli anni 2000, al declino del genere, che si conclude “ufficialmente” con Vacanze di Natale a Cortina nel 2011.

Di fatto gli ultimi presunti cinepanettoni firmati da Volfango De Biasi (Un Natale stupefacente nel 2014, Natale con il boss del 2015 e Natale a Londra nel 2016) hanno cambiato decisamente cast, autori e registro.

Supervacanze di Natale, quindi, piuttosto che ripercorrere le Vacanze di Natale cinematografiche, finisce per raccogliere le commedie più idiote prodotte da Aurelio De Laurentiis.

Ma, soprattutto, il film non è un’antologia: Ruffini anziché raccontare la storia dei cinepanettoni ha voluto mettere insieme una sorta di “saggio” che più che un prodotto antologico stile Totò ricorda una lunghissima puntata di Blob (peraltro, dimostrando di non conoscere nemmeno la lingua italiana, visto che confonde – nelle didascalie finali – il “genere” con la “saga”).

Il montaggio, infatti, non procede né in ordine cronologico né per episodi, quanto – piuttosto – per tematiche (introdotte, peraltro, da pretenziose citazioni letterarie) mixando insieme sketch di pochi minuti o addirittura di pochi secondi: diventa così impossibile tanto riuscire a capire qualcosa delle già esili trame quanto seguire un filo storico delle commedie natalizie e il film si rivela davvero una valanga del peggio del cinema italiano degli ultimi trent’anni, composto da scenette squallide senza personaggi e senza storia.

Più che ai classici del genere viene dato spazio ai prodotti più degeneri divisi in capitoli dedicati, di volta in volta, alle bonazze, alle corna, alle cacate o alle “frociate” e il viaggio nei trent’anni di storia del cinema italiano si trasforma in una raccolta di siparietti senza tempo: difficile collocare cronologicamente o trovare una qualche differenza stilistica, per fare un esempio, tra Massimo Boldi che usa come carta igienica la benda di una mummia egizia e Paolo Ruffini che per pulirsi il culo usa un barboncino o tra De Sica che si fa la moglie di Ghini e Ghini che si fa la moglie di De Sica.

Massimo Boldi e Christian De Sica – grandi protagonisti della pellicola – di distinguono, tra uno spezzone e l’altro, solo per la testa sempre più pelata del primo e la faccia sempre più ritoccata del secondo, e vederli ripetere per tutto il film sempre le stesse facce e le stesse battute fa un effetto molto malinconico e stigmatizza in modo impietoso la loro miseria artistica.

Sono andato a vedere Supervacanze di Natale, lo ammetto, anche perché volevo conoscerne il pubblico: volevo guardare in faccia la gente che spende soldi per guardare questa roba a fine dicembre e il resto dell’anno non mette piede al cinema. Ma anche qui sono rimasto deluso: in sala c’ero solo io.

Più che la celebrazione della “più lunga saga della storia del cinema”, dunque, Supervacanze di Natale appare come il funerale di un genere di cui nessuno sente la mancanza.

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