RICORDI?

di Arnaldo Casali

Nostalgia del passato, paura del futuro e ricerca di un presente che non esiste.

“Le cose sono belle perché finiscono”
“No, le cose sono brutte perché abbiamo l’angoscia che finiranno”.

Dieci inverni dopo Dieci inverni, Valerio Mieli gira il suo secondo film che, come il primo, è un’opera sulla memoria. Perché sono proprio i ricordi i veri protagonisti di un film in cui la storia d’amore diventa solo un pretesto, tanto che i due personaggi non hanno nemmeno un nome.

Una storia minimamente lineare, per quanto anonima (in ogni senso) c’è, ma il montaggio la scombussola alternando ogni secondo, ogni minuto – ogni tre minuti al massimo – immagini del passato, del futuro, di un presente appena passato o di un futuro appena presente.

Così ciò che resta – non ciò che resta alla fine, ma ciò che resta sin dalla prima inquadratura – è un torrente di ricordi, e questo rende il film di Mieli uno dei più dolorosi mai visti al cinema, perché ci priva dell’unica cosa che abbiamo – il presente, appunto – dimostrandoci che la vita è solo un soffio sospeso tra la nostalgia di ciò che è stato e la paura per ciò che sarà.

Personalmente, confesso che questo film mi ha fatto soffrire più di La casa di Jack di Von Trier, eppure non c’è tragedia nella trama ma solo una struggente malinconia. Una malinconia trasmessa con una regia di rara sapienza, un montaggio incredibile, una fotografia incantevole e due attori perfetti: Luca Marinelli – lo sapevamo già – è uno dei più grandi talenti del cinema italiano, anche se sembra ormai rinchiuso nel ruolo del bello e dannato, e se non si affretta a fuggirne il suo talento finirà nascosto dentro una macchietta. Linda Caridi, invece, è la grande sorpresa del film. Sorpresa non per il sottoscritto, che ha avuto la fortuna di ammirarla anche a teatro (nel bellissimo Peter Pan guarda sotto le gonne di Liv Ferracchiati) e in televisione nell’intenso Lea di Marco Tullio Giordana (dove interpreta la figlia di una vittima della mafia), e che comunque al cinema vanta già ruoli importanti come quello della poetessa Antonia Pozzi e della regista Karole Di Tommaso nell’autobiografico Mamma+Mamma della stessa Di Tommaso in cui è affiancata da Maria Roveran.

Con grazia sublime e uno sguardo che ti rimane stampato dentro, Linda riesce a coniugare, nel suo personaggio, profondità abissale e un candore che ricorda i personaggi di Alice Rohrwacher.

I due innamorati ci regalano un concentrato di vita ritagliata, rimescolata e poi pazientemente riordinata in cui non mancano lutti, traumi, sogni, incubi, inganni, e tradimenti ma nemmeno la speranza nell’unica cosa che dà senso a tutti questi frammenti di esistenza: l’amore.

    Questa voce è stata pubblicata in cinema, recensioni. Contrassegna il permalink.

    I commenti sono chiusi.