Bentornato Presidente, fino a un certo punto

di Arnaldo Casali

E’ un seguito anomalo, Bentornato Presidente, e per questo ideale. Perché se la maggior parte dei “sequel” non sono che variazioni sul tema che cercano di replicare un grande successo, in questo caso ci troviamo di fronte a un film che ha istanze completamente diverse dal prototipo, ma che recupera un personaggio riuscito per quella che non è la classica commedia italiana, ma un vero e proprio instant-movie sull’attuale governo.

Pur avendo lo stesso protagonista – Claudio Bisio – e lo stesso sceneggiatore (Fabio Bonifacci) i due film sono quasi agli antipodi: Benvenuto Presidente era una tipica commedia “grillina”, mentre il seguito è una vera satira anti-grillina. Il dittico, quindi, ci aiuta meglio di tante analisi a capire il percorso fatto dalla politica e dalla società italiana negli ultimi dieci anni.

Il film del 2013 vedeva un cittadino semplice, onesto e pulito, diventare per caso Presidente della Repubblica. Quello appena uscito, invece, riprende quello stesso personaggio per farne la metafora del presidente del Consiglio “burattino” di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, straordinariamente interpretati da Paolo Calabresi e Guglielmo Poggi.

L’idea è geniale, perché in Italia si fanno raramente film che raccontano l’attualità politica, ma la resa è solo parzialmente riuscita, perché il film, alla fine dei conti, diventa fin troppo il seguito di Benvenuto e troppo poco un’instant movie.

Di fatto due terzi del film si concentrano sulla storia d’amore tra il Presidente e sua moglie, mentre alle caricature di Salvini, Di Maio e Renzi rimangono solo pochi ma esplosivi sketch.

Capita raramente di trovare un film così discontinuo: geniale e banale al tempo stesso, pieno di ritmo e altrettanto pieno di lungaggini; di film così strambi viene in mente solo Habemus Papam di Nanni Moretti. Ma se in quel caso c’era un overture magnifica e poi il film si perdeva perché – semplicemente – non aveva nulla da dire, in questo caso di cose da dire ne avrebbe fin troppe ma ne dice pochissime, scegliendo di alternare momenti stucchevoli, retorici e ripetitivi a scene pazzesche della miglior satira italiana.

Anche la stessa comicità è discontinua: gli sketch sulla vita privata sono di bassa lega, prevedibili, “telefonati”, farseschi, stanchi e stancanti, mentre quando entrano in scena Calabresi (che vendica i tanti romani interpretati da milanesi) e Poggi (che interpreta Di Maio molto meglio di Di Maio stesso) il film si accende: gli uffici comunicazione della Lega e del Movimento 5 Stelle (che qui diventano “Precedenza Italia” e “I Candidi”) sono agghiaccianti per quanto realistici: da una parte il Ministro dell’Interno che nella vita privata è pacatissimo ma si sforza di urlare e di insultare il più possibile davanti alle telecamere, dall’altra il Movimento che gestisce 15 blog che producono bufale fatte diventare virali attraverso i social per colpire i nemici. Non è da meno l’eterno congresso del PD (alias “Sovranità Democratica” guidato da Marco Ripoldi del Terzo Segreto di Satira), impegnato solo a cercare nuovi simboli e nuovi slogan e a dividersi in mille correnti (“Stasera siamo 58 e abbiamo 58 idee diverse! Che cosa facciamo?”, “Fondiamo 58 partiti! Così siamo tutti leader!”).

Anche se bisogna dire che mentre quella di Calabresi è una perfetta parodia di Matteo Salvini, il compare è un po’ meno riuscito: sì, perché Poggi è troppo credibile per essere Di Maio. D’altra parte non deve essere semplice recitare la parte di uno che recita una parte. E Di Maio, posso testimoniarlo personalmente, non si toglie la maschera nemmeno al cesso.

Proprio la genialità del soggetto, la bravura degli attori (impeccabile Sarah Felberbaum) e il ritmo della regia fanno venir rabbia quando ci si trova a subire pipponi come l’infinito incipit con Bisio e famigliola o l’imbarazzante scena gay con Pietro Sermonti (talento immenso qui decisamente sprecato) dal momento che il film diventa invece una macchina da guerra quando ci si sposta in Parlamento o nel Consiglio dei Ministri (“Come far passare una legge? Scriverla in ostrogoto, infilarla tra mille decreti e discuterla il giovedì, subito prima del fine settimana”).

Di fatto il film scorre così: quindici minuti di pippone e cinque di genio assoluto, altri quindici minuti di retorica e poi sette di satira graffiante.

Un peccato vero, anche perché Bisio – diciamolo con franchezza – è un personaggio decisamente inflazionato e non se ne può più di ritrovarselo ovunque – mentre Poggi e Calabresi formano una coppia comica straordinaria, che varrebbe la pena di vedere ancora.

Ecco, il film lascia un po’ con la fame: ti offre un aperitivo indimenticabile e poi cerca di saziarti con una minestrina riscaldata, proprio come Habemus Papam, anche se nel caso di Moretti era mancata proprio la capacità (e forse la voglia) di costruire una sceneggiatura all’altezza, mentre qui più probabilmente è mancato il coraggio di andare fino in fondo al racconto politico, magari nella convinzione che gli italiani della politica sono stanchi e alla satira feroce e illuminante preferiscono una rassicurante e insipida commediola familiare.

Resta però un film decisamente anomalo rispetto al panorama del cinema italiano contemporaneo, e tanto più rispetto ai film comici che siamo costretti a vedere abitualmente; un’opera assolutamente da non perdere perché intelligente e catartica: perché – per quanto soffocata dalla commedia romantica e farsesca – resta satira autentica, lontana tanto dal Bagaglino quanto da Luttazzi: è satira potentissima e rara, dolorosa e irresistibile, e di fronte a questo “Governo della pulizia” si prova un dolore immenso che fa esplodere dalle risate e aiuta a capire cosa sta succedendo in Italia. Proprio – e quanto è amaro ammetterlo!  – come facevano gli spettacoli di Beppe Grillo.

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