Marcello Ghione: un artista tra ribellione e sofferenza

di Silvia Petrillo

Una delle opere a cui Marcello Ghione spera di dare vita al più prestouna commedia musicale scritta nel 1989. Si intitola.: Un…un cuore di troppo. È una storia surreale, che provoca mille sorrisi e qualche riflessione. In quel copione è impresso ogni aspetto della personalità di questo artista polivalente, pittore, poeta, scrittore, autore teatrale: c’è amore per la vita, nonostante tutto; ironia, sentimento e sogno. La sua disponibilità verso gli altri è stata determinante per comprendere attraverso alcune domande, il pensiero di questo ternano “doc”.

La sua pittura è ribellione alla sofferenza o incontro inevitabile con l’arte?
La pittura per me è un incontro piacevole con una carica spirituale molto importante, ormai da 35 anni. La tavolozza è come il pianoforte per un musicista. Il piacere di vedere ed usare i colori è infinito. Mi sento attratto da un colore piuttosto che da un altro provando una sensazione forte. Dipingere non è stata una ribellione perché ho accettato la mia condizione con una fede totale. Ho trasformato cosi le lacrime in sorrisi.

La critica è uno stimolo per modificare o riaffermare le proprie idee?
Ascolto attentamente ogni critica. Forse potrei modificarmi leggermente, ma lo scopo principale della mia pittura deve rimanere tale, cioè diffondere serenità ed allegria.

Che cosa pensa del rapporto attuale tra i giovani e la pittura? E che ruolo ha la scuola?
Oggi i giovani sono attenti anche alla tecnica, non solo alle sensazioni provocate dai quadri. Vogliono sapere come nasce un quadro e quali sono i miei metodi per arrivare a certi risultati. Penso, inoltre che la scuola dovrebbe davvero fare di più, soprattutto nel settore della formazione artistica. Attualmente la scuola si trova nelle stesse condizioni della famiglia, c’è libertà, rapporto alla pari e poca attenzione alle tradizioni. Ci sono meno regole da seguire e forse più confusione all’interno delle istituzioni scolastiche.

Dipingere per professione. Si può ancora rischiare la vita da “bohémien” e aspettare il successo?
No, solo con l’arte non si può vivere soprattutto oggi. Bisogna prima crearsi delle basi solide e poi…inseguire le passioni.

Si dipinge più quello che si vive o ciò che si sogna?Cosa vuol comunicare con i suoi colori?
Si dipinge quasi sempre il sogno. La pittura per me è un momento di evasione stupendo.
Quando dipingo soddisfo le mie necessità di colore. Non desidero lanciare messaggi, ma solamente condividere delle emozioni con chi guarda la mia opera.

Pensa che la sua pittura sia stata del tutto compresa? E da chi in particolare?
Credo di sì, perché il mio è un genere comprensibile e non si presta a particolari diatribe. I critici più attenti sono stati Felice Fatati, Guido Mirimao e Paolo Cecchini.

Qual è stata la sua più grande gioia della sua vita e quale l’episodio più triste?
La gioia più grande i figli ed i nipoti. Poi i riconoscimenti artistici in secondo piano. L’episodio più triste è stata la morte del mio carissimo padre il 3 gennaio 1941 durante l’assedio inglese a Bardia in Africa settentrionale. In quell’occasione ho scritto la mia prima poesia.

Che cosa ha rappresentato per lei la celebrità?
E’ stata solo la prova tangibile di quello che mi ero prefissato. Cioè riuscire a condurre la gente al cuore… con il cuore.

Quale posto occupa la poesia soprattutto quella dialettale?
La mia poesia nasce con lo stesso istinto di un quadro, per parlare delle mie emozioni dei miei ricordi. Frequentando i poeti ternani è stato semplice comprendere l’importanza di raccontare la nostra Terni con un linguaggio antico, ricco di vocaboli plasmati dal tempo, ed una musicalità che lo rende estremamente piacevole. Sono più di 50 anni che scrivo poesie e la prima, quella dedicata a mio padre è stato l’inizio di un dialogo interiore, attraverso il quale ho parlato a me stesso ed agli altri, e come dico nella mia Ju la passeggiata… me pija ‘n emozione tantu bella se do a la mente quarghe scarufata!
La poesia di Ghione, malinconica o divertente è il passato, quello di una Terni un po’ grottesca ma vera. La sua pittura è, in un certo senso, il futuro, il desiderio. I suoi quadri hanno il sapore di antiche fiabe ed il profumo degli aranci più belli coccolati dal sole. Hanno il blu di un cielo sereno nelle notti d’estate ed il fucsia delle orchidee selvagge. In mezzo a candide nuvole, Ghione immagina «’n palluncinu rosso che sia con noi e non ce lassa manco se lo voi, e quanno finirà sta vita nostra ce arporterà lassù, stù palluncinu passanno fra le stelle d’oro finu lungu ‘na strada fatta propriu apposta».

Tratto da Adesso n. 4 – giugno 1999

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