LA FAMIGLIA GUZZANTI

 

guzzantis da te.

di Arnaldo Casali

“Se tornerò a fare Gianfranco Funari? Sì, mi piacerebbe farlo in una versione nuova, in cui parla dall’aldilà, e dice: ‘quanno venite qui, nun dite che siete cristiani, sennò ve se appiccicano addosso e nun ve mollano più!’. Penso che a lui farebbe piacere: si divertiva moltissimo a vedere la mia imitazione”.
E’ un fiume in piena, Corrado Guzzanti. Un vulcano in eruzione, un juke box di sketch pronto a tirare fuori il personaggio che gli chiedi non appena glielo citi. Difficile immaginare un personaggio più divertente e piacevole da intervistare. A differenza della sorella Sabina, poi, possiede un’umiltà e una semplicità almeno pari al suo talento comico. Protagonista indiscusso della trionfale serata di venerdì di “Cinema &/è lavoro”, Corrado è arrivato al festival come è arrivato nella fiction “Boris”, la sit-com di Sky a cui la serata era dedicata: travolgendo tutto, trasformando un decollo in un impennata, il divertimento in fuochi d’artificio, l’arguto in geniale. E il tutto con aria quasi inconsapevole, con la noncuranza e la naturalezza di chi l’umorismo ce l’ha nel sangue, e non in un copione.

E’ da un po’ che non ti si vede in televisione. Eppure la tua popolarità non è minimamente scalfita dall’assenza sugli schermi. Capita solo ai grandi, come Grillo e Celentano. Come te lo spieghi?

“Questa è una grande fortuna. Dipende forse dal fatto che di programmi come quelli che facevamo noi, oggi se ne fanno pochi. Negli ultimi anni la comicità è deviata verso il cabaret e il comico è diventato un intrattenitore, la pagina centrale della Settimana enigmistica. E poi in Italia la storia si ripete quindi anche le cose che dicevamo noi quindici anni fa tendono a tornare attuali”.

Come hai iniziato a far ridere?

“Con mia sorella Sabina siamo cresciuti con “Alto gradimento” e la commedia all’italiana. Lo devo ai miei che ci hanno dato accesso a questo mondo, e non era poi così scontato, perché mi ricordo che per i miei nonni Totò era volgare e veniva schifato e snobbato”.

C’era qualcuno a cui ti ispiravi?

“Da bambini eravamo pazzi per ‘Tante scuse’ di Vianello e Mondaini. Che era ed è ancora modernissimo, perché di un cinismo e di una cattiveria unici. Ricordo che in ogni puntata c’erano i Ricchi e poveri che cantavano e in ogni puntata venivano uccisi in un modo diverso da Raimondo! Era una comicità molto raffinata, un terreno che nessuno ha poi battuto, perché è arrivato l’umorismo più commerciale da barzelletta che ha preso piede per tutti gli anni ’80. Ancora oggi le cose più moderne, sul fronte dell’umorismo, le fa la Bbc, e sono difficili da vedere in Italia. ‘Boris’ credo che sia e resterà un’eccezione”.

Quando questa passione è diventata una professione?

“A me è sempre piaciuto molto scrivere e ho fatto l’autore per anni; non pensavo che mi sarei mai messo a fare l’attore, ma ero geloso delle mie battute e non volevo che continuassero a dirle solo gli altri”.

Quello che caratterizza la tua comicità è un mix di imitazione e creazione di personaggi nuovi.

“Si comincia come imitatori, ma di imitatori ce ne sono tanti, quindi bisogna trovare il modo di caratterizzarsi. E poi la cosa più divertente da fare è rielaborare i personaggi. Io per esempio ho fatto Rutelli che parlava come Alberto Sordi. Poi mi sono appassionato a personaggi minori: sono un cultore di televisione notturna, di quei programmi in cui c’è più gente in studio che a casa. Gente che pensa di comunicare ma parla contro un muro: Gabriele La Porta è un don Chisciotte che pensa ancora che la televisione possa insegnare i miti greci alle quattro di notte. Quando fai personaggi così tendi a reinventare più che imitare, perché del modello originale ti interessa poco”.

Come è nato il personaggio entrato trionfalmente in “Boris”?

“In realtà è una summa di cose già fatte con alcuni elementi nuovi; si ispira in particolare al conduttore del “Caso Scafroglia”, che è l’ultimo programma che ho fatto in televisione. E’ un personaggio doppio, che è convinto di far finta di essere matto, e non si rende conto di essere matto davvero. Un esperimento molto divertente, soprattutto nelle scene di sadismo in cui costringo Alessandro Tiberi a cantare le canzoni di Comunione e liberazione”.

Anche questo, infatti, come molti dei tuoi personaggi è ossessionato dal misticismo.

“Io sono molto attratto dal mondo della religione; mi sono divertito molto con “Quelo”, che fu una vendetta nei confronti di un’ex fidanzata che praticava la New Age. Mi sono sempre sentito attratto dagli integralisti, o da quelli che si avvicinano alla religione per trarne un potere sugli altri”.

E quale è il tuo personale rapporto con la religione?

“Io non sono solo ateo, sono un nichilista assoluto, e di conseguenza mi piace cercare di capire chi vive davvero la religiosità. La fede è un dono che io non ho, perché io non solo non credo che ci sia un aldilà ma non credo neanche nell’aldiquà. Ma mi interessa il bisogno spirituale,  il meccanismo che porta la gente a crollare improvvisamente e vedere la madonna o andare da padre Pio senza sapere chi è, solo perché l’ha visto in televisione. Anche se mi rendo conto che non c’è nulla di metafisico in queste dinamiche, ma è un discorso di carattere squisitamente umano”.
 


CATERINA GUZZANTI
 
E’ la piccolina di famiglia, Caterina, con un’eredità pesante sulle spalle: il padre è Paolo Guzzanti, celebre giornalista e senatore di Forza Italia. Il fratello Corrado è un autentico genio della comicità. La sorella uno dei personaggi più controversi della satira italiana. Dopo il debutto accanto ai fratelli maggiori, e una carriera decennale come comica, con “Boris” – fiction satirica di cui è da due anni una delle colonne portanti – ha debuttato nella veste di attrice senza maschere.

“Sì è stata la prima volta che recitavo davvero” dice. “Sveglia alle 6, trucco 7.15, copione in mano, motore, azione, eccetera E’ qualcosa di completamente diverso da quello che avevo fatto prima, e cioè sketch in cui indossavo una maschera e che era stato, fino ad allora, l’unico modo per esprimermi. Sai, la recitazione è la psicanalisi dei timidi”.

Come sei arrivata a fare l’attrice?

“Dirò una banalità, ma è stato un caso. Quando avevo undici-dodici anni andavo a vedere Sabina e Corrado agli spettacoli, ma volevo fare la veterinaria. Poi anche io, a casa, facevo le imitazioni, ma era, diciamo così, la prassi delle cene di famiglia: se bisognava raccontare qualcosa era automatico interpretare tutti i personaggi del racconto”.

E poi?

“Nel 1997 Sabina propose a Serena Dandini di infilarmi nel cast del “Pippo Chennedy Show”. Ero terrorizzata: per 15 giorni di preparazione sono rimasta paralizzata, senza dire  una parola. Poi, piano piano, mi sono sciolta, anche perché l’atmosfera era bellissima: sembrava un campo scuola, con tutti gli amici, la casa in comune, i primi soldi guadagnati. Era una pacchia”.

Il primo personaggio?

“Il primo personaggio della prima puntata era una fan pazza dei “Ragazzi delle ragazze”, che erano una parodia dei Ragazzi italiani”.

E quello a cui ti senti più legata?

“Miss Italia, che mi ha fatto cominciare una carriera autonoma dalla famiglia, e poi Orsetta Orsini, la bambina malvagia di Bulldozer che maltrattava il giardiniere colombiano. E infine, due anni fa, la stagista scema della Gialappa’s. Un’esperienza che è servita a fortificarmi e ad emanciparmi un po’ dall’ingombrante presenza dei due fratelli maggiori”.

Corrado è diventato un comico surreale, Sabina si è votata alla polemica politica. Tu che impronta vorresti dare alla tua carriera?

“Vorrei continuare a recitare in progetti come ‘Boris’. Il problema è che di produzioni libere come questa, in Italia,  non ce ne sono. Ma mi piacerebbe fare l’attrice”.

Continuerai anche a fare i personaggi?
 
“Sì, tornerò a farli nella prossima stagione di ‘Parla con me’. Ma mi piacerebbe riuscire ad essere considerata un’attrice vera. Adesso ai casting continuano a ripetere: “Ah, sì, i Guzzanti, ma fanno solo personaggi”.

(da Il Giornale dell’Umbria di domenica 19 ottobre 2008)

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SABINA GUZZANTI


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    3 risposte a LA FAMIGLIA GUZZANTI

    1. ARNALDOCASALI scrive:

      LA FAMIGLIA GUZZANTI

      [..] Splinder (20/10/2008) di Arnaldo Casali “Se tornerò a fare Gianfranco Funari? Sì, mi piacerebbe farlo in una versione nuova, in cui parla dall’aldilà, e dice: ‘quanno venite qui, nun dite che siete cristiani, se [..]

    2. Sweeney scrive:

      “Io sono molto attratto dal mondo della religione […].Mi sono sempre sentito attratto dagli integralisti, o da quelli che si avvicinano alla religione per trarne un potere sugli altri […]. Io non sono solo ateo, sono un nichilista assoluto, e di conseguenza mi piace cercare di capire chi vive davvero la religiosità. La fede è un dono che io non ho, perché io non solo non credo che ci sia un aldilà ma non credo neanche nell’aldiqua”.
      Troppo radicale e semplicistico per spiegare l’insistenza continua, assoluta sulla religione, presente in ogni suo lavoro quasi e ancor più che la politica. Sembra dover convincere se stesso di essere un non credente. Non è che senta gli sia mancata, invece, una formazione religiosa? Più che interessato a me sembra OSSESSIONATO

    3. Sweeney scrive:

      Fa un po’ ridere, e non per professione, questa figura di ateo (molto diffusa) che ripete ribadisce ad ogni piè sospinto di non credere in dio, di non crederci assolutamente, anzi, non solo non c’è nulla dopo, ma voglio aggiungere di più, non c’è niente neanche di qua, non sono niente manco io ecc. L’ateo di questo tipo sembra essere più integralista di ogni integralista religioso, sembra quasi addirittura dover convincere se stesso della non esistenza di dio, oppure voler manipolare a sua volta le idee religiose altrui. Un vero ateo non si sente in obbligo di sbandierare ai quattro venti di essere tale e di IRRIDERE la religione (non di ispirarsi ad essa per creare comicità) la quale, guarda caso, è SEMPRE quella cattolica ( a parte il famoso “Quelo”, appunto di stampo new age, Guzzanti si riferisce sempre a figure e a riti che riguardano il cattolicesimo, non mi risultano personaggi che si ispirino al mondo musulmano, indiano, ebreo o che so io).