IL VEGETALE INUTILE

di Arnaldo Casali

Prima premessa: io sono un fan di Fabio Rovazzi.

Seconda premessa: io sono uno di quelli che sosteneva che la differenza tra i filmetti mediocri di altri comici e la qualità dei film di Checco Zalone, la faceva Gennaro Nunziante. Pensavo che la chiave del successo stesse nella scelta, da parte del comico, di non fare tutto da solo, ma di affidarsi ad un regista che si era fatto le ossa, a sua volta, come attore comico, e poi era stato sceneggiatore di un maestro come Alessandro D’Alatri.

Viste le premesse, capirete come mi sono precipitato a vedere Il Vegetale, incoraggiato – oltre che dalle due menti geniali che l’hanno concepito – da una storia importante, che parla di lavoro, di prospettive per i giovani, di ambiente, di meritocrazia, di agricoltura biologica, e da attori come un mostro sacro quale Ninni Bruschetta e una giovane promessa del cinema italiano già ampiamente mantenuta come Paola Calliari (in pochi mesi ha inanellato splendidi ruoli da protagonista in The StartUp dello stesso D’Alatri e L’età imperfetta). Mettiamoci anche i paesaggi splendidi della mia terra: tutte le parti “bucoliche” che fanno da contraltare all’ambientazione milanese, infatti, sono state girate tra l’Umbria e la Sabina (Greccio, Contigliano, Labro, Cottanello, Piediluco).

La delusione, allora, è davvero cocente, quando con tutti questi meravigliosi ingredienti esce fuori un film brutto, stupido, banale, prevedibile, retorico, poco divertente e senza né capo né coda.

Non c’è un solo vero guizzo in tutta la pellicola. Anzi, forse c’è: ma è uno solo, affidato a Luca Zingaretti, verso la fine. Per il resto la denuncia sociale è fasulla come la visione “naif” del borgo montano contrapposto alla Milano da bere, il film è una macchietta dall’inizio alla fine con battute scontate, sketch “telefonati”, morale scontata, insomma davvero tutto il contrario di quella macchina da guerra che era Quo vado? ma anche dall’inventiva e il ritmo di Andiamo a comandare Tutto molto interessante. 

Con la differenza, peraltro, che qui – finalmente – non spuntano i “padrini” J.Ax e Fedez: ma in realtà cadiamo dalla padella alla brace, visto che al posto loro a fare un cameo c’è addirittura Barbara D’Urso, impegnata, oltretutto, in una gag così imbarazzante che sembra scritta da lei stessa.

D’altra parte, chi abbia scritto l’ignobile sceneggiatura, in effetti, non si sa. Quale sia stato il contributo di Rovazzi (che comunque ha fatto il classico passo più lungo della gamba) non si sa, perché il suo nome non figura. D’altra parte il fatto che Nunziante, firmandola, abbia precisato “soggetto e sceneggiatura originali” sembrerebbe quasi una presa di distanza dello stesso autore dal copione, quasi a volerci suggerire che qualcuno ci ha rimesso le mani, magari rovinandola, o che le improvvisazioni sul set di Rovazzi l’abbiamo stravolta. Comunque sia, per favore: mai più. Rovazzi, basta con il cinema: torniamo a cazzeggiare.

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