Addio al Re delle Bufale, è morto Ermes Maiolica

Nel suo ultimo scherzo invitava a donare il sangue per l’Avis

di Arnaldo Casali

Avremmo voluto davvero che fosse stata una bufala anche questa. E invece questa volta non c’è proprio niente da scherzare: Ermes Maiolica è morto, stroncato da una terribile malattia, a poco più di trent’anni.

Gli amici sapevano che i suoi trascorsi di alcool e droga avevano minato pesantemente il suo fisico ma nessuno poteva immaginare che la situazione fosse così grave. Anche perché fino all’ultimo Ermes – il cui vero nome era Leonardo Piastrella – ha mantenuto il sorriso, continuato a organizzare scherzi, lanciato battute sarcastiche (l’ultima “Ma adesso l’Inghilterra in quale continente andrà?”).

Solo a qualcuno, nei giorni scorsi, aveva confidato di avere problemi di salute, senza entrare troppo nel dettaglio. Poi, ieri sera sul profilo facebook, un laconico messaggio: “Eh niente. Domani mi ricoverano, bello saperlo a mezzanotte”.

Tra i tanti messaggi di auguri c’è stato anche, in un primo momento, chi ha pensato a uno scherzo. Nessuno poteva immaginare che la situazione fosse così grave, che dietro alle battute si nascondesse il dramma. Anche la foto con le dita incrociate, pubblicata questa mattina prima di entrare in sala operatoria, non era certo quella di un malato terminale. Anzi, Ermes cercava – nel suo stile – di ostentare una certa ironia, anche se la paura trapelava dalle sue parole: “A mezzogiorno si entra in sala operatoria, di solito non mi piacciono i sentimentalismi però mi farebbe molto piacere che i miei amici incrociassero le dita insieme a me”. E gli amici non si sono fatti pregare: centinaia di messaggi di solidarietà, di affetto e di incoraggiamento si sono riversati sul suo profilo; in tanti hanno risposto all’appello postando foto di dita incrociate, ma anche tanti messaggi divertenti, con scongiuri e vignette di ogni genere: c’è chi addirittura ha mandato i propri auguri dall’Egitto. Ed Ermes, finché ha potuto, ha ringraziato commosso. Poi, dopo mezzogiorno, il silenzio. Un lungo, assordante, interminabile silenzio. Fino alla terribile notizia.

Ermes non ce l’ha fatta. Se ne è andato di venerdì, come Gesù e per ironia della sorte, proprio alla sua stessa età. E – con un estremo colpo di teatro – alla vigilia del giorno in cui tutto il mondo celebra le fake news. Segno che il Signore è dotato di almeno tanto senso dell’umorismo quanto lui.

Avrebbe voluto, domani, organizzare il “Festival del non giornalismo”: si sarebbe dovuto svolgere al Caos e pensava a grandi nomi per animarlo. Aveva contattato persino Enrico Mentana, e ci sarebbero dovuti essere tutti i più importanti debunker italiani con cui Ermes aveva lavorato molto negli ultimi mesi. E invece non se ne farà niente: la malattia gli ha impedito portare avanti quel rivoluzionario progetto e se lo è portato via proprio all’apice del successo, come le grandi rock star. Come Andy Kaufman, il comico americano di cui Ermes appariva quasi come la reincarnazione per lo stile e la poetica e con cui emergono ora sinistre affinità: quando Kaufam morì a 35 anni in tanti pensarono all’ennesimo scherzo, e ancora oggi – a più di trent’anni di distanza – girano leggende metropolitane che lo vorrebbero ancora in vita nascosto sotto l’identità di Jim Carrey (che non ha caso lo ha interpretato al cinema). Anche la morte di Ermes è stata accolta da scetticismo e scherzi che i perbenisti definirebbero di cattivo gusto, ma che forse lui apprezzerebbe, anche se non fanno che rendere la tristezza.

Dalla Rai a Canale 5, dalle Iene a Matrix, di Ermes negli ultimi tempi si sono interessati tutti; scuole e università lo hanno chiamato a tenere conferenze e ha trovato ammiratori persino in Vaticano. E gli ultimi mesi, nonostante il venir meno delle forze, li ha passati in giro per l’Italia (l’ultimo intervento al festival della cultura digitale di Viterbo).

Tra le sue vittime Matteo Renzi  – che smentì personalmente la notizia secondo la moglie avrebbe votato no al referendum – e J.Ax & Fedez, furibondi perché dopo la notizia del loro arresto per droga pubblicata su un sito falso del  “Rolling Stone”, la più grande rivista musicale del mondo anziché denunciare Ermes lo aveva intervistato, incuriosita, incoronandolo “Il Re delle bufale”.

Televisione, settimanali, siti internet, università: è stata una cavalcata trionfale quella dell’ultimo anno, che gli ha procurato molti ammiratori ma anche tanti nemici, ovvero “haters”, come si dice in gergo. Continuavano ad accusarlo di diffondere falsità per denaro. Nessuno voleva credere che Ermes faceva tutto questo solo per passione, e addirittura per una questione ideale: voleva aiutare la gente ad aprire gli occhi, ed era convinto che il proliferare di bufale non fosse altro che un vaccino contro le fake news, quelle serie, diffuse spesso dagli stessi giornali o dai semplici cittadini. Aveva svelato i meccanismi che portano a condividere una notizia senza nemmeno leggerla: “Il pregiudizio di conferma”, lo chiamava lui. “Si tende a diffondere notizie che confermano i propri pregiudizi: per questo è così facile creare bufale di stampo politico”. Come quella celeberrima che cavalcò il delirio collettivo che si era scatenato durante il Referendum, secondo cui Umberto Eco si era espresso a favore e aveva dato degli idioti ai grillini: si scatenò una valanga di odio contro Eco, accusato di essere al soldo del Pd. Peccato che il grande intellettuale fosse già morto da diversi mesi.

A testimonianza dell’etica profonda che guidava il suo operato, Ermes non ha mai creato una bufala riguardante gli immigrati. “Sono le più facili da fare, ma contribuiscono ad alimentare il razzismo”.

Insomma non seminatore di falsità ma un giustiziere della verità. Non a caso  SkyTg24 gli aveva commissionato un test per imparare come svelare le bufale, inserito all’interno di un dossier sulle fake news.

E forse non è un caso che la sua ultima, clamorosa opera – appena qualche giorno fa – sia stata anche quella più impegnata sotto il profilo sociale: una falsa pubblicità dell’Avis con un’infermiera sexy (alla quale ha aggiunto, dopo le accuse di sessismo, anche una versione al maschile) in cui si invita a donare il sangue. “E’ particolarmente vantaggioso – dice la didascalia – fai sega al lavoro, colazione a buffet, analisi gratuite e sconti al ristorante”. Tutte cose, peraltro, verissime, tanto che anche in questo caso l’Avis anziché indignarsi ha ringraziato pubblicamente Il re delle bufale “per averci regalato una campagna di marketing virale di sua creazione”.

Chissà, magari qualcuno, sensibilizzato dal suo scherzo, a donare il sangue ci è andato davvero e poche ore dopo ha contribuito a cercare di salvare la vita al metalmeccanico ternano (ci ha sempre tenuto a sottolineare che quella era la professione con cui portava a casa i soldi). Anche se purtroppo non è bastato.

Ermes ci mancherà e ora probabilmente, sarà rivalutato anche da chi fino ad oggi lo ha disprezzato. Quel che è certo è che il suo più grande nemico era la retorica: lui era convinto che si debba e si possa scherzare davvero su tutto, a cominciare dalla morte. “Lo humor nero è come un bambino con il cancro, non invecchia mai” aveva scritto mesi fa. E nemmeno lui lo farà: resterà sempre nella nostra memoria con quella barba da terrorista islamico e il vestito da Ispettore Gadget, la sua aria stralunata da ubriaco anche quando (raramente) era sobrio. Addio, Ermes, e per favore, facci qualche scherzo anche da là. Nella speranza che il Paradiso, almeno quello non sia una bufala.

 

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