Il Movimento 5 Stelle si è rotto. Finalmente.

di Arnaldo Casali

Le dimissioni di Massimo Bugani dalla segreteria di Luigi Di Maio e da referente del M5s per l’Emilia Romagna e per i sindaci, sono una pessima notizia e al tempo stesso un’ottima notizia per il futuro del Movimento 5 Stelle.

E’ morto il Re, evviva il Re, è proprio il caso di dire.

Perché Bugani non è un dirigente qualsiasi. Consigliere comunale di Bologna e socio di Rousseau, è un grillino della primissima ora e – fino ad oggi – una delle più potenti eminenze grigie del Movimento, membro del famigerato “Staff” a cui Beppe Grillo ha lasciato di fatto carta bianca e che per oltre cinque anni ha fatto il bello e il cattivo tempo nel Movimento 5 Stelle.

C’è lui, tanto per fare un esempio, dietro la cacciata di Federico Pizzarotti; se ai giornali sono sempre stati dati in pasto Di Maio e Casaleggio, in realtà le redini del Movimento politico sono sempre state tenute da un invisibile e anonimo staff di fedelissimi di Beppe Grillo. Bugani, fino a qualche settimana fa, lo sentivi nominare – quasi sottovoce – dagli attivisti, ma mai dai giornali. Come il suo, gli altri nomi del famigerato staff sono sfuggenti, li dimentichi subito perché non li senti mai ripetere in televisione, non si espongono, restano nell’ombra. Ad oggi chi comanda davvero il Movimento 5 Stelle è un mistero: si sa che Di Maio, dopo aver fatto il bravo e pavido scolaretto per tanti anni adesso comanda davvero, anche se da solo non va da nessuna parte; Rocco Casalino, per quanto grottesco e ridicolo possa sembrare, è – sì – davvero potente, e anzi sembra essere tra i più influenti; e poi c’è Casaleggio, certo, e Grillo sempre più defilato.

Il punto è che fino ad oggi il Movimento 5 Stelle è stato come la Chiesa Cattolica: non contemplava un’opposizione interna, non prevedeva correnti, non accettava il dissenso. Dunque chi non si allineava veniva emarginato ed espulso.

Così il M5s ha perso progressivamente le sue menti migliori e da movimento di cittadini si è trasformato in un partito stalinista; proprio questo gli ha permesso di passare dal radicalismo totale che rifiutava qualsiasi tipo di compromesso con il Sistema a un gruppetto di politicanti che pur di restare attaccati alle poltrone assecondano i capricci del peggior politico mai apparso sulla scena italiana nel dopoguerra.

A impedire al Movimento di salvare l’anima e la faccia, in questi anni, è stato proprio quel conformismo, quel serrare le fila ad ogni costo, quel difendere ad oltranza l’indifendibile pena l’espulsione. Di Maio, non ce lo dimentichiamo, è stato messo lì e tenuto lì fino ad oggi proprio da questo famigerato staff, mentre agli iscritti spettava solo il compito di ratificare e legittimare delle decisioni già prese.

Il problema è che Robespierre, a furia di tagliare teste, ci ha rimesso pure la sua.

Proprio Bugani, l’epuratore di Pizzarotti, è stato epurato da Di Maio. E proprio il potentissimo attivista rimasto in ombra per anni ora si è messo a sciacquare i panni in pubblico raccontando come gli sia stato proibito di rilasciare interviste e dimezzato il compenso (che ammontava a 3800 euro, praticamente pari a quello che dovrebbe essere lo stipendio di un parlamentare grillino).

A differenza però di Pizzarotti – e delle decine di espulsi in dieci anni di storia – Bugani non è solo: lui stesso rivendica la vicinanza a Grillo, Casaleggio e Di Battista. Quindi stavolta non si tratta di far fuori un parlamentare, un sindaco, o un intero gruppo consiliare (come avvenuto a Parma). Qui si tratta di fare uno scisma o una resa dei conti, che faccia fuori Di Maio e tutta sua cricca responsabile della rovina del Movimento. E in parte del paese.

D’altra parte sin dal suo ingresso in Parlamento e sulla scena pubblica, Alessandro Di Battista è stato considerato l’alternativa a Luigi Di Maio e il rappresentante dell’ “altra anima” del Movimento. Per anni, però, li hanno costretti a fare la parte degli amiconi.

Se come leader – nel 2018 – è stato scelto Di Maio anziché Di Battista, è stato per una strategia politica sbagliata: la discesa in campo di Grillo nel 2014 aveva avuto esiti disastrosi; così lo “staff” aveva pensato che il volto rassicurante e democristiano di Luigi Di Maio avrebbe avuto più chance di vittoria del rivoluzionario grillino Di Battista. D’altra parte erano i tempi in cui Renzi era all’apice del successo, e i risultati delle politiche del 2018 hanno dato ragione a questa strategia.

Il problema è che adesso l’Italia è completamente cambiata: a dettare le regole della politica è un personaggio rozzo e aggressivo come Matteo Salvini che la cravatta di Di Maio se la mangia a colazione, quindi senza dubbio, in questa fase storica, solo la grinta di Di Battista può risollevare le sorti del Movimento.

Non si tratta però solo di una strategia politica: Di Battista, nel bene e nel male, è una figura molto carismatica, mentre Di Maio è il nulla: da una parte un terzomondista grillino della prima ora, che ha idee molto chiare (magari sbagliate o superficiali, ma chiare), dall’altra un ragazzetto senza arte né parte, con una gran voglia di fare carriera politica.

In un contesto simile, per uno staff assetato di potere e ansioso di mantenere il controllo della situazione, era assai preferibile una figura plasmabile e disciplinata come Giggino piuttosto che l’incontrollabile ed esuberante Dibba.

Così è stato fino a due mesi fa. Cosa poi è successo dopo le europee lo sanno solo quelli che stanno lì dentro; di certo Dibba ha iniziato a scalpitare facendo indispettire Giggino. Ma non lo ha fatto da solo: a coprirgli le spalle proprio Davide Casaleggio, e a fargli da altoparlante Marco Travaglio, che è da sempre uno degli ideologi del M5s.

Per quanto si cerchi ancora di far passare Dibba e Giggino come due amici leali e in sintonia, ormai il bubbone sta per scoppiare. Ed è proprio qui che interviene Bugani, con un’intervista al Fatto in cui difende Di Battista:  “Dà sfogo a quello che pensano tantissimi elettori e iscritti che aspettavano quelle parole, e che finora erano stati un po’ in apnea”. Bugani cerca ancora di raccontare la fiaba delle “persone di spessore, con caratteri forti ma non alternativi bensì complementari” e ribadisce che Di Maio deve “restare al suo posto” rivendicando al tempo stesso la necessità di una “riorganizzazione”. Infine dà un colpo al governo di cui lui stesso fa parte ricordando che “per dieci anni c’è stata un’onda anti-casta che noi abbiamo cavalcato. Negli ultimi due anni invece si è parlato solo di immigrazione”.

Insomma, pur uscendo allo scoperto, Bugani cerca di continuare a fare quello che aveva sempre fatto nell’ombra: rivendicare la sua voce in capitolo senza creare fratture palesi. Eppure, le ritorsioni da parte di Di Maio arrivano subito, anche perché nel frattempo come consigliere comunale di Bologna Bugani si scontra frontalmente con il ministro Toninelli per l’approvazione del Passante contro il quale il M5s si è battuto per anni. Anche per Bugani, dunque, è ormai ufficiale: quel Movimento nato dai territori con le liste civiche a cinque stelle, si è ormai fatto casta sorda alle istanze dei cittadini.

Con le sue clamorose dimissioni ormai nessuno potrà più continuare a far finta che nel Movimento 5 Stelle vanno tutti d’amore e d’accordo. Ora, con divertimento, vedremo quale posizione prenderanno tutti quegli attivisti e portavoce che finora si sono limitati a fare da megafono alle posizioni ufficiali, guardandosi bene dall’esprimere un’idea personale. E forse non a caso, tra di essi c’è chi oggi è arrivato a cancellare addirittura il suo profilo facebook. Come a dire: di questi tempi è meglio non esistere che dire cose che possono farti passare guai.

Perché ormai la divisione c’è ed è finalmente chiaro quali sono le parti in causa: su un fronte Luigi Di Maio, il suoi ministri, Rocco Casalino e il resto del famigerato Staff; dall’altra Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio, Massimo Bugani e parlamentari come Gianluigi Paragone (il primo a chiedere pubblicamente a Di Maio di alzarsi almeno da una delle sue quattro poltrone).

Poi ci sono i dissidenti come Roberto Fico ed Elena Fattori, che fino ad oggi erano stati emarginati dal gruppo di potere ancora compatto, ma hanno resistito e sono rimasti all’interno del Movimento.

Infine c’è Beppe Grillo. Che forse dovrebbe farsi sentire prima che la sua creatura esploda definitivamente vanificando oltre vent’anni di appassionato e totalmente libero impegno civile.

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