Turchia: tra tentativi di rinnovamento e limiti alla libertà di espressione. Un Paese a due velocità.

di Michelle Crisantemi

Ha superato i confini nazionali quello che sembrava essere l’ennesimo caso di restrizione alla libertà di espressione in Turchia. Infatti, stavolta la condanna da parte di un tribunale è arrivata nei confronti di Fazil Say, un pianista turco con una carriera internazionale. “Io non so se avete notato, ma dove vi è un pidocchio, una nullità, una vita bassa, un ladro o uno sciocco, c’è un islamico. È questo un paradosso? “. Queste le parole, scritte su twitter, che sono costate al pianista una condanna sospesa a 10 mesi di reclusione per discorsi incitanti all’ odio, come previsto dall’articolo 216 del codice penale turco. C’è di più: se il pianista dovesse tornare a esprimersi in modo simile da qui a 5 anni andrebbe dritto in prigione. La questione è particolarmente delicata in un Paese che è diventato la “principale prigione per giornalisti”, come lo definisce il “The Economist” e che aspira a diventare membro dell’Unione Europea. Lo sforzo di questo Paese per darsi una costituzione più democratica cozza contro un codice civile fortemente influenzato dalla religione. Una controversia che si esprime nelle diverse reazioni dei ministri turchi all’ accaduto: se il ministro per l’Unione Europea turco ha infatti dichiarato “non possiamo essere contenti che Mr Say, né nessun altro cittadino venga perseguito per essersi espresso liberamente”, il Primo Ministro, Recep Tayyip Erdogan, ha invece tagliato corto dicendo che non ha tempo da perdere in simili argomenti. Eppure lo stesso Primo Ministro era stato bandito dalla politica e brevemente incarcerato nel 1998 per aver recitato una poesia che incitava all’ odio religioso, nel periodo in cui i generali usavano la magistratura per punire i critici di Ataturk e i laici. Ora sembra che è venuto il turno di AK di usare questo potere per reprimere gli attacchi all’Islam Sunnita. Una legge che protegge solo la maggioranza, ma che ignora armeni ed ebrei, denuncia Human Right Watch. La Turchia è uno stato laico, ma circa il 98% della sua popolazione è di religione islamica. La Costituzione turca prevede libertà di religione e coscienza. Come accade in molte altre “democrazie” del mondo però, questo principio viene regolarmente ignorato.

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