L’inferno di Ron Howard

di Arnaldo Casali

C’è un paradosso, nell’Inferno di Ron Howard.
Se con i due precedenti film tratti dai best-seller di Dan Brown, l’ex Ricky di Happy Days era riuscito a trasformare dei romanzi mediocri in ottimi film, questa volta ha fatto l’opposto.

Che, come romanzo, Inferno sia nettamente superiore a Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni, è una cosa abbastanza normale: Dan Brown sa bene che oggi i suoi libri vengono letti da un pubblico molto più vasto e colto di quello a cui erano diretti quelli scritti quindici anni fa, e si è attrezzato: la quarta avventura di Robert Langdon è scritta meglio, contiene meno strafalcioni e più colpi di scena rispetto ai primi due.

Paradossalmente però, il regista a riservato molto meno rispetto a quest’ultima opera, di quanto ne avesse offerto alle precedenti: con Angeli e Demoni e Il codice Da Vinci aveva aggiustato il tiro qua e là e accorciato le scene più prolisse, ma si era mantenuto sostanzialmente fedele ai libri. Anche troppo, diremmo, viste le solenni idiozie letterarie di Angeli e Demoni passate indenni sullo schermo. Inferno, invece, lo maneggia in modo completamente diverso: se, soprattutto nella prima parte, riesce a dare magnificamente corpo alle visioni infernali evocate sulla pagina, più la storia va avanti e più il film si distacca dal libro, fino a stravolgerlo completamente.

Ron Howard arriva a cancellare del tutto alcuni personaggi, introdurne di nuovi, cambiare  i caratteri dei protagonisti, e persino a inventarsi una storia d’amore tra Langdon e la direttrice dell’Oms, che nel libro era un’anziana signora dai capelli argentei e che qui viene appositamente ringiovanita.

Il finale viene addirittura capovolto, non solo movimentandolo con massacri ed esplosioni assenti sulla pagina, ma arrivando a soffocare il colpo di scena che chiudeva il libro. E – di conseguenza – a cambiare il finale stesso, rendendolo molto più banale: un po’ come facessi un film tratto da un giallo, e cambiassi l’assassino. Scegliendo proprio, oltretutto, quello su cui si erano concentrati i sospetti sin dall’inizio.

Sarà lo spirito di contraddizione. Abituato a fare ottimi
film dai mediocri libri di Dan Brown, trovandosi di fronte ad un ottimo libro, stavolta Ron Howard ha scelto di farne un film mediocre.

 

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