9 ottobre 1963, diga del Vajont: la frana che costò la vita a 2000 persone.

Erano le 22:39 del 9 ottobre 1963, una data e un’ora che resteranno per sempre nella memoria di molti italiani. Perché quel giorno furono duemila le vittime causate da una frana lunga circa 2 km che si staccò dal monte Toc, in Friuli. I 270 milioni di metri cubi di roccia e terra  si riversarono nel bacino artificiale del Vajont, generando 3 onde: una si diresse verso l’alto, lambì le abitazioni di Casso e ricadendo sulla frana andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza; un’altra si diresse verso le sponde del lago e attraverso un’azione di dilavamento delle stesse distrusse alcune località in Comune di Erto-Casso e la terza, scavalcò il ciglio della diga, che rimase intatta, ad eccezione del coronamento percorso dalla strada di circonvallazione che conduceva al versante sinistro del Vajont, e precipitò nella stretta valle sottostante. I circa 25 milioni di metri cubi d’acqua che riuscirono a scavalcare l’opera raggiunsero il greto sassoso della valle del Piave e asportarono consistenti detriti che si riversarono sul settore meridionale di Longarone causando la quasi completa distruzione della cittadina si salvarono il municipio e di altri nuclei limitrofi. Fu stimato che l’onda d’urto generata dall’impatto della frana con la valle era d’intensità uguale, se non maggiore a quella causata dalla bomba di Hiroshima. Le indagini della magistratura dimostrarono che il disastro era prevedibile e condannarono gli ingegneri Biadene e Sensidoni per inondazione, aggravata dalla prevedibilità dello stesso. Per cercare di risollevare l’economia della zona colpita, il Parlamento italiano varò una legge ad hoc, la n. 357/1964 (detta “Legge Vajont”), che  prevedeva che ogni abitante dei comuni colpiti che fosse dotato di una licenza commerciale, artigianale o industriale al 9 ottobre 1963 venisse dotato di un contributo a fondo perduto del 20% del valore dell’attività distrutta, un ulteriore finanziamento pari all’80% a tasso di interesse fisso per la durata di 15 anni, e che per 10 anni venisse esentato dal pagamento dell’imposta sulla ricchezza mobile. Se poi il beneficiario non avesse potuto o voluto ricominciare a svolgere l’attività precedente, aveva il diritto di cedere a terzi la licenza, i quali godevano delle stesse esenzioni e vantaggi a condizione di operare in un’area che inizialmente corrispondeva a quella del disastro, ma che poi venne estesa all’intero territorio delle regioni in qualche modo interessate (Trentino, Veneto, Friuli – Venezia Giulia). Fu così che aziende ed imprese del tutto estranee alla vicenda, acquistando le licenze in oggetto per prezzi irrisori, poterono godere di finanziamenti pubblici particolarmente rilevanti, inizialmente destinati alle vittime.

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