Volontario al punto vaccinale, avrei potuto infettare 2000 persone

di Fabrizio Donatelli

Ne ho viste e sentite di tutti i colori all’Istituto Casagrande di Terni, dove è collocato il punto vaccinale più grande dell’Umbria, quello in cui ho prestato servizio come volontario dal 15 giugno al 31 luglio.

E, data la stagione, l’ho fatto pure con condizioni climatiche tutt’altro che ottimali. Il caldo, unito allo stress per il notevole afflusso di vaccinandi da accettare, praticamente sin dal principio mi ha fatto dare i numeri. In tutti i sensi!

Infatti il sistema con cui là si chiama la gente da vaccinare, che io ho cominciato ben presto a detestare per i motivi che sto per esporre, è quello del classico ‘numerino’ del supermercato. Con un paio di importanti differenze:

  • Non c’è alcun display che mostri tale numero, e quindi chi siede al tavolo è costretto abbastanza spesso – per via della mascherina, il pannello in plexiglass come ulteriore protezione e la confusione a volte regnante – a gridarlo, anche ripetutamente. Il sottoscritto con ciò, oltre a rischiare di perdere la voce già a inizio turno, ha perso quel poco di dignità che gli era rimasta!
  • Il suddetto numero deve essere conservato dal vaccinando quasi fino al momento dell’iniezione. E’ stata fortissima in molti la tentazione di buttarlo nel cestino una volta giunti alla prima accettazione, ossia dov’ero presente io. Che invece, oltre a trovare nell’elenco i loro nominativi per cancellarli, dovevo spillarglielo insieme alla modulistica (e anche su di essa si potrebbe aprire una parentesi). A forza di spillare, la mano mi ha fatto male per giorni!

Non sarebbe forse meglio far rispettare ai cittadini gli orari stabiliti?

E allora qua, al netto delle molteplici motivazioni più o meno credibili che ci hanno portato, mi sento di spezzare una lancia in loro favore.

Fino a pochissimo tempo fa, infatti, sul portale della regione non era possibile scegliere data e ora di questo appuntamento così tanto atteso. E quindi, visto che d’altro canto c’era la possibilità di presentarsi, nell’arco della giornata prefissata, a qualsiasi orario, ogni santa mattina si formava all’ingresso una fila lunghissima.

Inoltre ritengo che, per un centro che ha la pretesa di effettuare anche più di 1500 vaccinazioni al giorno, due sportelli per la prima accettazione siano un imbuto troppo stretto. E aggiungiamoci pure il fatto che – da quanto mi è stato riferito – dei 10 box installati per le iniezioni vere e proprie, ne vengono aperti al massimo 6. E’ come se avessimo a che fare con un’auto sportiva con un motore 10 cilindri di cui però solo 6 sono funzionanti. Un po’ difettosa, non vi pare?

E’ probabilmente questa la causa dei blocchi che non di rado si formavano nell’area della seconda accettazione, che di conseguenza ci costringevano a far aspettare chi non c’entrava fisicamente davanti a noi. E non era facile – per loro ma non solo – mantenere i nervi saldi nelle mattinate in cui si presentavano anche 8-900 persone. Così tante che il sottoscritto la notte si sogna ancora di dover ricevere qualcuno!

E sto parlando solamente di chi ha avuto la fortuna di ritrovarsi un appuntamento, dal momento che diversa gente è, in certi casi anche da oltre un mese, in attesa di un SMS di speranza. Una cosa a dir poco inaccettabile.

Come inaccettabile ho trovato la mancanza di comunicazione tra i vari organi della struttura sanitaria regionale. I medici di base ne dicevano una, i farmacisti ne dicevano un’altra, al CUP di via Bramante ne dicevano un’altra ancora… E così molti si riversavano al Casagrande soltanto per avere informazioni o addirittura invano per prenotare il vaccino stesso in loco.

E mi sono dispiaciute pure le frequenti incomprensioni tra le associazioni di volontariato impegnate in questa fondamentale campagna. A volte eravamo troppi, altre eravamo troppo pochi. In quest’ultima situazione erano spesso le guardie della sicurezza, con le quali fin da subito è nato un rapporto cordialissimo, a darmi una mano al tavolo.

Ma quello che mi è andato giù di meno rispetto a tutto il resto mi riguarda parecchio da vicino.

Ho saputo che in altre regioni chi aveva intenzione di svolgere questa attività veniva prima vaccinato. Chi vi scrive si è fatto somministrare la prima dose soltanto il 9 luglio, perché si era regolarmente prenotato, in base alla sua fascia d’età, nella sua regione di residenza. Per non fare nomi, si tratta della Toscana, territorio confinante che però su ciò sembra trovarsi in un mondo totalmente diverso. Al Casagrande invece, in un mese e mezzo, sono stato sottoposto – per mia scelta, ossia senza che nessuno mi obbligasse – a un solo tampone, e dopo una settimana dall’inizio del servizio. Dunque, siccome vedevo mediamente 5-600 persone a ogni turno, supponendo che circa la metà di esse venivano a diretto contatto con me, se fossi stato sciaguratamente positivo, avrei potuto infettare anche più di duemila individui. Una leggerezza intollerabile da parte di una regione che in sostanza, su questo tema assai delicato, pare non essere cambiata così tanto nemmeno con la nuova Giunta. Per non dire che forse è ulteriormente peggiorata.

Per carità, la popolazione umbra si sta vaccinando. Ma non ho mai capito con quale criterio. A chi fosse in grado di spiegarmelo pagherei volentieri una cena!

“Ma solo dei problemi parli?”, potrebbe giustamente osservare qualcuno. Volendo, ce ne sarebbero pure degli altri, tipo la difficoltà nello scaricare dal sito il modulo speciale per i minori di 18 anni (sono stati tanti i genitori che si sono presentati all’accettazione senza di esso). Oppure il fatto di dover ricompilare quello ‘normale’ anche per la seconda dose, cosa che ha creato non pochi malumori tra alcuni vaccinandi che non lo facevano. Un inutile spreco di carta (dal momento che poi ciascun modulo è costituito da cinque pagine, quando altrove sono semplicemente tre) o uno scrupolo necessario? Valutate voi.

Con gli aspetti meno simpatici preferisco fermarmi qua e concludere pensando piuttosto ai lati più piacevoli di questo lavoro. Come ad esempio, fra le circa 20mila persone che mi sono transitate davanti, l’aver incontrato decine di facce familiari: da qualche parente ai pochi amici che ho, passando per gente che non vedevo da diverso tempo, fino a chi conosco di vista o addirittura di fama.

Insomma, è stata un’esperienza che reputo nel complesso costruttiva, nella quale spero di aver imparato molto anche dai numerosi errori che ho commesso. E se non l’avessi fatta, me ne sarei pentito a lungo.

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