Testimonianza di un giornalista: Tiziano Terzani.

di Michelle Crisantemi

Mi sono imbattuta in questa testimonianza studiando per un esame verso il quale il mio stato d’animo era tutt’altro che positivo: Storia e Istituzioni dell’Asia Orientale. Era per me l’ultimo scoglio che mi separava dalla laurea e diventava perciò ancora più antipatico di quello che normalmente risulta per ogni studente di Scienze Politiche. Rimasi sorpresa nel vedere che il libro introduttivo era appunto di un giornalista, e rimasi a dir poco meravigliata delle parole che scrisse in merito alla sua professione. Una storia, quella di Tiziano Terzani, che somiglia a molte altre che ho sentito da altri giornalisti. Anche alla mia, perché, -mi è venuto da pensare- quello del giornalista raramente è un mestiere che scegli. Molto spesso ci capiti per caso, come io capitai per caso alla redazione del Giornale dell’Umbria, durante il mio primo anno di università. Non puoi scegliere di fare il giornalista, è il giornalismo che sceglie te. E quando mi chiedono perché, così giovane e studiosa, non penso ai sacrifici che mi aspettano per poter essere qualcuno in questo settore, a me piace pensare a queste parole che Terzani ha scritto.

“Diventai giornalista perché alle corse podistiche arrivavo sempre ultimo. Una volta, alla fine di una di quelle corse , venne da me un signore sulla trentina, con un taccuino in mano, che mi disse qualcosa come « sei studente? Allora, invece di partecipare alle corse, descrivile!». Avevo incontrato il primo giornalista della mia vita e, a sedici anni, avevo avuto la mia prima offerta di lavoro: cronista sportivo al Giornale del mattino.                                             « Largo, c’è il giornalista», dicevano gli organizzatori quando mi presentavano. Ero un ragazzino e di sport me  ne intendevo poco, ma quella qualifica mi dava lì per lì il diritto a un buon posto di osservazione e il giorno dopo il diritto alla mia firma in testata e a un articoletto con tanto di descrizioni e giudizi sulle pagine rosa del giornale della mia città.       A quei due diritti -direi privilegi- sono rimasto attaccato tutta la vita. Di questo straordinario mestiere, -che è poi un modo di vivere- mi ha sempre affascinato il poter essere in prima fila là dove avvengono le cose, porre a chiunque le domande più impossibili, mettere il piede in tutte le porte, fare i conti in tasca ai potenti e poi poterne scrivere. Quel «largo, c’è il giornalista», detto in vari modi, in varie lingue, mi ha aperto la strada a tanti luoghi attraverso i quali passava la storia, per lo più triste, del mio tempo: al fronte di guerre inutili, alle fosse orribili di massacri, a umilianti prigioni e negli ovattati palazzi di un qualche dittatore. Ogni volta con il senso di “essere in missione”, di essere gli occhi, gli orecchi, il naso, a volte anche il cuore di quelli -i lettori- che non potevano essere lì. E non solo i lettori. Perché se è vero che con il giornale di ieri ci si avvolge il pesce, è altrettanto vero che il giornalismo è alla base della storia”.

– T.Terzani, in Asia-

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