Terni. Un oasi nel deserto, Casa Parrabbi

di Michele Annesanti

Manuel, di origini spagnole, è un operatore sociale della San Martino. Lavora di notte a Casa Parrabbi, una casa, opera segno della Caritas Diocesana di Terni-Narni-Amelia, ma gestita dalla San Martino, che accoglie rifugiati politici e gente che ne ha bisogno. Il suo orario di lavoro è molto flessibile può accadere che oltre il turno notturno debba lavorare anche il resto del giorno, perché le esigenze di chi chiede aiuto sono molte ed ognuno di loro ha la sua. Tuttavia lo vedi sempre correre, anche se dorme poche ore. Il suo compito è quello di far rispettare le poche regole della casa, che fondamentalmente si basano sul rispetto della comune convivenza. Sono cose semplici e forse scontate, ma spesso non è cosi. Per questo fa del suo meglio per creare una condizione quasi famigliare; e dire che da come sono stato accolto sembra che ci stia riuscendo.

Dice Manuel; “La casa è aperta tutto il giorno, possono dormire qui, lavarsi e mangiare, ma l’obiettivo principale è cercare lavoro, un occupazione qualsiasi, che non li faccia stare fermi. Se ti fermi sei perso. Poi se succede che rimane qui, durante il giorno, perché sei stanco va bene, questa è un eccezione, ma la regola è che non può diventare un abitudine. Questo è solo un tetto sopra la testa niente di più. Figuriamoci per loro è molto, ma si devono muovere, risolvere in meglio le loro condizioni”.

Ascolti queste parole e ti viene da pensare; certo che Manuel è ricco di speranza, vista la situazione di crisi economica che stiamo vivendo e che non è facile per nessuno. Immaginiamo poi per chi non è italiano. L’altra sera mi sono recato alla “casa” per conoscerli e sono stato accolto come uno di loro. Mi sono seduto nella sala e ho condiviso tre tazze di thè, il buon thè turco, il Cay. Mi hanno offerto da mangiare e una sigaretta.

Ti potrebbe venire in mente, a te che leggi, questa domanda; Come fai a sentirti in famiglia quando intorno a te, in quel microcosmo multietnico, sei circondato da tre africani un curdo, uno spagnolo e due ternani? Eppure, credimi, questo accade. Ogni giorno, la magia della convivenza si ripete. Certo non è facile mi racconta Manuel, che è sempre alle prese – non solo con gli “acciacchi” della casa, ripara quello, compra quell’altro, ma soprattutto con gli “acciacchi” dell’animo umano. E queste persone che siano italiane, straniere, cristiane o musulmane ne hanno molti.

Ognuno ha le sue storie. E quando le ascolti tra una risata ed un’altra ti rendi conto che non puoi giudicare, perché sei un essere umano come loro e che soprattutto nessuno si merita di arrivare fino a quel punto. Qualsiasi sia stata la sua colpa. Ma poi ad un certo momento la respiri quella realtà. Quel clima inconfondibile dello stare in “famiglia”.

Certamente, all’inizio c’è stato un attimo di silenzio, ma poi ognuno di loro, soprattutto gli stranieri si sono aperti e non hanno fatto altro che raccontare, e raccontare. C’è chi è preoccupato per il proprio futuro, e chi invece pensa a casa, quella nativa. Pensano a quelli che sono rimasti e aspettano un aiuto economico, c’è chi necessita di cure mediche, chi invece ha la famiglia in un teatro di guerra, come il Mali.

Dopo tutto questo ascoltare e domandare, ti capita un attimo in cui rimani come sospeso in bilico nei tuoi pensieri, ed è allora che ti accorgi che è tutto collegato.

Si, perché in quelle storie, se sei un minimo informato ci puoi leggere l’attualità di oggi. Cosi ricolleghi il telegiornale che ti racconta che la Francia è entrata in guerra in questo “piccolo” paese dell’Africa centrale, che è il Mali, e qui a Terni, proprio nella tua città, ti ritrovi a condividere una tazza di thè con uno che viene da quel paese.

Quello che poi appare più strano di tutto è che quella persona ti racconta tutto con un sorriso immenso, non perché sia pazzo, e ne avrebbe tutto il diritto, ma perché mi parla della moglie e della figlia che non vede da 5 anni. “Run, run”, mi parla in inglese, è preoccupato perché sono scappati dal loro villaggio per rifugiarsi in Burkina Faso.

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