QUESTO GRILLO E' UN MAGO. DI OZ

di Paolo Taggi

Flashback. Tele+, notte di Capodanno 2001. Grillo entra in scena a testa in giù, sulle note dell’inno nazionale, e cammina con i piedi piantati al soffitto. «La posizione è un po’ strana, dice, ma non fatevi ingannare. È il mondo che mi sfugge. Prima pensavo di essere io un disadattato, con i miei monologhi su una realtà che non mi corrispondeva. Adesso penso che è la realtà rovesciata».

Grillo prende un mappamondo e lo fa volare, come Chaplin. Poi l’ex comico grida le sue verità del momento: «Che cosa significa solidarietà? Cosa vuol dire il bene contro il male – si chiede – quando il bene fa più male del male?». La disperata ironia e la perfida disperazione di sei anni fa risuonano oggi come una profezia non raccolta: «Qui ci vuole un segnale. Dio, vieni giù. Non mandare tuo figlio, questa volta. Non sono più cose da ragazzi».

Se il conto alla rovescia fosse iniziato quella notte? Se ci pensasse da allora a scendere in campo lui stesso, senza intermediari? Se tutto quello che è successo nel frattempo: la costruzione di una comunità estremamente fidelizzata, gli spettacoli sempre più amari, l’affollata solitudine, la sistematica raccolta di contraddizioni evidenti, la costruzione di slogan ad effetto, le citazioni rielaborate di saggisti di fama, la clandestinità subita come una ferita tragica e ostentata fossero i pezzi forti di una geniale sceneggiatura invisibile? Se fosse partito dal finale, che ancora non conosciamo, ma che immaginiamo travolgere i politici «Ogm, irrimediabilmente modificati dal potere?».

Beppe Grillo è il nuovo mago di Oz. Sospeso su un pallone aerostatico, invitava il pubblico che affollava il luna park a scegliere la sua attrazione. Un avversario, per dispetto, gli ha tagliato i fili ed è stato così che l’omino perduto nel cielo ha fondato un regno basato sull’illusione. Dove bastano degli occhiali verdi, distribuiti generosamente, per vedere le cose in un modo diverso.
Quando il leone codardo, lo spaventapasseri e l’armatur a di ferro scoprono l’inganno, non perdono la loro fiducia in lui. Gli chiedono di dare loro ugualmente il coraggio, il cuore o l’intelligenza che gli manca. Lui gli regala aghi e paglia ed immediatamente loro si sentono migliori.
Chi attaccando Grillo vorrebbe tagliargli ulteriormente i fili dovrebbe ricordare la parabola di Oz. L’ombra che proietta è più forte delle censure preventive dei Tg. Le scomparse a volte sono più efficaci del troppo apparire. Lui è già stato «tagliato» in passato ed ha fatto della clandestinità mediatica un elemento di forza. È la ferita precedente di cui non può fare a meno un personaggio vincente.

Grillo è un vincitore in potenza, ripartito da una sconfitta ingiusta, della quale si sono persi i contorni e i motivi. La sua non è un’affermazione possibile, ma una rivincita. Una riscossa che tutti i suoi sentono propria. Si è appostato in prossimità della faglia dove sarebbe avvenuta la frattura per eccesso di contraddizioni, e poi è salito sull’onda anomala, trasformando la risata che avrebbe dovuto travolgere tutto in un sorriso sbilenco.

Grillo si è collocato, con una modernità sconosciuta ai suoi nemici, tra «Le Iene» e «Striscia la Notizia», sulle rovine di Funari. Me lo immagino come un personaggio di «Shreck 4», che entra nella locanda e arringa gli insoddisfatti come Beha-Zorro, usando magari le parole del libro di Weehen, Come gli stregoni hanno conquistato il mondo, rovesciandole, naturalmente. Ha scritto un giornalista del New York Times: «Dove possiamo guardare per rassicurarci che è ancora lo stesso solito fidato mondo che amavamo odiare?».

Grillo è l’interprete esatto di questo sentimento ossimorico. È cerniera e detonatore. Sa che la differenza spesso non consiste nell’offerta, ma nel modo di proporla. Che sentire è più importante che approvare, e i suoi simpatizzanti sono drogati di empatia.
Fa a pezzi un mondo senza verifiche. Un mondo di eufemismi sfiniti, come le lunghe guerre-lampo. Dove un ragazzo gli scrive che ogni mattina si licenzia per non essere licenziato. Dove tutto è credibile purché fatti diversi non si intromettano nella versione ufficiale della realtà.
Ha trasformato spaesamento, amarezza, impotenza (i sentimenti che lasciavano i suoi spettacoli) in ribellione delegata. A lui. Un esercito di collaboratori setaccia libri e saggi fornendogli slogan, indicandogli i trend ed aiutandolo ad interpretarli. Qualche mese fa, ha utilizzato il logo dei giovani ribelli francesi, i figli di Don Chisciotte, dietro i quali si nascondeva forse un geniale meccanismo di viral marketing. Legge, ascolta, ritocca, amplifica. Di fronte alle cose che dice non si può non pensarla come lui.

È un catalizzatore di scontenti, il baricentro degli incerti. La sua voce è maggiore della somma di tutti quelli che lo applaudono, che non saranno mai un coro. Loro agitano lui perché è più ascoltata la sua voce della somma di tutte le loro, che non saranno mai un coro.
L’Extra del dvd. Si colloca tra i partiti. Nello spazio tra loro, ma forse dentro di loro. Forse. Nei dvd, dopo il film gli extra svelano cosa c’era dietro le quinte. Ma dopo, c’è solo un altro film.

(da Avvenire del 25 settembre)

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