PENELOPE E ULISSE

Personaggi
ULISSE, re di Itaca
PENELOPE, sua moglie
 
Luogo: Itaca, un posto da cui si vede il mare
Tempo: quattro o cinque anni dopo il ritorno a casa di Ulisse, circa quindici anni dopo la fine della guerra di Troia.
 
PENELOPE – A me pare che tu guardi troppo il mare da qualche giorno, Ulisse.
ULISSE – E’ un’abitudine, moglie. Forse ancora non mi sono riabituato a fare l’uomo di terra.
PENELOPE – Non lo imparerai mai. Questo lo sappiamo tutt’e due. Perché non vuoi dirmi a cuore aperto quello che pensi?
ULISSE – Come se io capissi tutti i miei pensieri… E non sono più nemmeno abituato a parlare di me stesso. Con chi lo avrei dovuto fare, in tutti questi anni? Certo non con i miei uomini.
PENELOPE – (con levità, senza amarezza). E neanche con le tue donne: è vero?
ULISSE – Su, moglie. Non essere gelosa! Non è proprio degno di te, questo.
PENELOPE – (Colpita, quasi offesa) Gelosa? Chi ti dice che io lo sia?
ULISSE – Così… Le donne di solito lo sono.
PENELOPE – Io no. E’ un’altra cosa. Quando non c’eri – sentivo la solitudine, anche se ormai la conosco bene e mi sembra anche di amarla –, io sognavo il momento in cui avrei potuto dirti tutto. Rimandavo ogni conforto al momento del tuo ritorno, e intanto tenevo duro. Ora che ci sei mi accorgo quanto è difficile dirti le cose che importano.
ULISSE – Dopo essere stati per tanti anni lontano, è difficile ricominciare ad essere vicini. Tu sei sempre stata una donna molto sola, e io un uomo molto solo. All’improvviso ci ritroviamo insieme e scopriamo che da più di vent’anni…
PENELOPE – Venticinque..
ULISSE – … che da venticinque anni siamo sposati. Prima era un’idea che ci accompagnava nella solitudine, ora è una realtà. E’ strano.
PENELOPE – E quell’idea era reale: aveva un calore. La realtà sembra irreale, è vero? E un po’ fredda.
 
(pausa)
 
ULISSE – E’ bello stare qui a casa, a Itaca, finalmente, e vederti sempre.
PENELOPE – E tuttavia…
ULISSE – Tuttavia?
PENELOPE – Dicevo per te, Ulisse. Nella tua voce c’era un “tuttavia”
ULISSE – Come sei cambiata, moglie. Rispetti ai primi tempi sembri tanto più serena… e tanto più triste.
PENELOPE – Il tempo è passato. E poi una volta, prima che tu partissi, noi non parlavamo veramente.
ULISSE – Già, eri così silenziosa.
PENELOPE – Ero una giovane sposa timida, e tu eri il mio sposo, eri il re; non ti conoscevo, sapevo che dovevo ubbidirti, darti dei figli, pensavo che se io fossi stata una buona moglie tu saresti stato buono con me… Che altro cercano le ragazzine che dal padre vengono date in moglie a un re di un paese lontano? E pensavo che avremo avuto tutta la vita per conoscerci. Adesso però gli anni sono passati, e ti conosco meno di allora.
ULISSE – Forse. Comunque sei stata una sposa perfetta, di cui ogni uomo dovrebbe essere orgoglioso.
PENELOPE – Sì, va bene, questo lo sappiamo.
ULISSE – Con me lontano, con nostro figlio ancora bambino, all’inizio, poi minacciato di tutto, anche di morte, con mio padre troppo vecchio per poter esserti di aiuto, con i sudditi o infedeli o impauriti, tu sei riuscita a conservare la famiglia, la mia casa, a educare Telemaco, a restare fedele a me e… e tutti dicevano che ero morto, e tutti i più nobili giovani di Itaca volevano sposarti… Un giorno si parlerà di te come di un modello di fedeltà coniugale.
PENELOPE – Non posso neanche pensarci. Quando dici così, penso subito a qualcosa di immobile… disperatamente fermo. E una grande solitudine, peggiore di quella che ho conosciuto. Io non volevo essere solo “quella che conserva”.
ULISSE – Quel lenzuolo che tessevi e disfacevi, per rimandare il momento della scelta di un altro sposo.
PENELOPE –(sorride)In quel senso, era proprio un trucchetto puerile. Nemmeno i miei pretendenti ci credevano, penso. Era un’altra cosa, come un segreto fra  me e me stessa e te che non sapevi. Era una specie di rito, mi serviva per fermare il tempo. Mi sentivo in compagnia delle Parche quando tessevo con religiosa solennità la mia tela e poi, con altrettanta solennità, disfacevo tutto il lavoro del girono.
ULISSE – Fermare il tempo. Se si potesse
 
(pausa)
 
PENELOPE – Noi stiamo parlando senza parlare, Ulisse. Noi stiamo girando intorno a quello che vorremo dire. Tu senti sfuggire la tua vita, da quando sei qui fermo, perché non vuoi ammetterlo? Tu non sarai mai felice se resti qui. Tu vuoi ripartire. Anzi, tu devi ripartire. E’ questo che pensi.
ULISSE – E’ vero che c’è in me questa terribile incapacità di restare fermo, non so capirmi neppure io… Ma dove dovrei andare? E perché? Ho viaggiato per dieci anni, dopo la fine della guerra, e in quei dieci anni io in fondo non desideravo altro che di tornare a Itaca.
PENOLPE – Itaca non è un luogo della erra, Ulisse. E’ un bisogno del cuore.
ULISSE – … E intanto sempre nuove cose capitavano a impedirmi il ritorno.
PENELOPE – Il mare, gli dei, il fato, il caso.. Ma forse c’era una parte di te che non desiderava veramente tornare.
ULISSE – Io non capisco più niente. Davvero, ero pieno di gioia al ritorno. Ma adesso mi basta veder passare in lontananza una nave con le sue vele coloro croco, m basta sentire l’odore della pece che ribolle, per…
PENEOPE – Tu devi ripartire
ULISSE – -…e quando nelle notti serene guardo le stelle del cielo, penso sempre che da nessun luogo della terra si vedono tante stelle, e così vivide e luminose, come da una nave in mezzo al mare.
PENEPOPE – Questo è il momento giusto per ripartire, se vuoi. Sei ancora nel pieno delle forze…
ULISSE – Non lo so. A volte mi sento così vecchio.
PENELOPE – Ma non lo sei. Invece lo diventerai presto, prima del tempo, se resti qui. Il regno è prospero e in pace. Nostro figlio Telemaco è ormai adulto.
ULISSE – E’ più tuo figlio che mio, Penelope, io non gli sono mai stato accanto.
PENELOPE – Ma io sì. Da me ha imparato l’orgoglio e l’attesa. E’ in età di essere re. Tu adesso gli hai trovato una sposa forte e serena che gli darà molti figli.
ULISSE – La vita continua a procedere in avanti. Abbiamo assicurato il futuro.
PENELOPE – Non hai più doveri verso di lui, verso il tuo popolo, verso tuo padre che è morto felice perché gli eri accanto di nuovo. E sorprattutto non sopporto più di restare qui, lo vedo. Gli dei non possono volere che tu comprima per sempre un bisogno del cuore.
ULISSE – Io non so se è questo che vogliono gli dei, non so nemmeno se, come uomo, faccio bene. All’idea di partire in fondo , non provo gioia, piuttosto una specie di sgomento… Ma c’è qualcosa più di forte di me che mi spinge. In questi anni, da quando sono tornato, ho sempre fatto in modo che la mia nave fosse pronta alla partenza da un momento all’altro. Eppure ero certo non che non sarei mai più ripartito.
PENELOPE – Io lo sapevo. Ecco, vedi che è un segno anche questo.
ULISSE – Questo bisogno di andare che è in me, Penelope, sarebbe sempre rimasto sepolto, se tu non lo avessi portato alla luce. In un certo senso, sei tu che mi spingi a patire. Eppure non credo che sarà facile per te. Io credevo che tutte le donne si opponessero alla partenza del marito, se potevano, in casi come questo.
PENELOPE – Io non sono “tutte le donne” Ulisse.
ULISSE – Tu dovevi nascere uomo. Avrei lasciato il regno a te. Nessuno ne sarebbe stato più degno.
PENELOPE – Io non ci tengo davvero, Ulisse. Non mi piace regnare: e non vorrei essere un omo. Anche se essere una donna è più difficile , in questo vostro mondo.
ULISSE – (come tra sé) Partire, tornare… Già so che, appena sarò sulla nave, penserò con infinita tenerezza a Itaca e al giorno in cui rivedrò tutto questo – e te.
 
(pausa)
 
PENELOPE Partirai presto?
ULISSE – Sì, presto. Le tempeste invernali sono finite. Non ci sono preparativi da fare, nulla di importante, è tutto in ordine.
PENELOPE – Chi porterai con te?
ULISSE – Poca gente. Una nave sola. E’ anche più facile viaggiare, con una nave sola.
PENELOPE – Hai già deciso da che parte andrai?
ULISSE – on lo so. Ma certo verso occidente… A volte mi sembra di aver girato troppo questo nostro mare, negli anni passati, e che mi vada stretto come una tunica vecchia. Vorrei percorrere un mare che le navi non hanno mai solcato.
PENELOPE – (colpita) Verso occidente!
ULISSE – Com’è largo il mare, Penelope. Guada se non sembra più vasto di prima.
PENELOPE – Il cuore degli uomini è più vasto di qualsiasi mare.
ULISSE – E tu, Penelope? Hai viaggiato una volta sola, tanti anni fa, quando ti hanno condotta qui da me. Come fai a sapere tante cose?
PENELOPE – Io non ho bisogno di navi e di compagni per percorrere le distese del mare. Anzi, non ho bisogno nemmeno di un mare da percorrere Nel mio cuore solitario ho fatto infiniti cammini.
ULISSE – E’ un rimprovero? Dovevo restare qui, Penelope, è vero? Dovevo invecchiare accanto a te, come fece mio padre con mia madre finché visse.
PENEOPE – No, Ulisse, non credo. Ogni uomo ha il proprio destino. Ma perché vuoi andare proprio verso occidente?
ULISSE – Non lo so, Pnelope. Sempre qualcosa mi dice che deve essere così. Dimmi, ci sarà nuovamente qualcuno che cercherà di sposarti, durante la mia assenza?
PENELOPE – (Sorride)Direi di no, Ulisse. Tutti si ricordano di quello che successe allora, al tuo ritorno.
ULISSE – Tornerò anche questa volta. Almeno, lo spero.
PENELOPE – Tu partirai domani. Non lo hai ancora detto, ma lo so.
ULISSE – Sì domani. Anche perché sento che se non cogliessi questo momento di verità, forse rinuncerei per sempre alla partenza. E forse…
PENEOPE – All’alba, Ulisse?
ULISSE – No, al tramonto. Andando verso occidente, sarà come inseguire il sole perché il giorno sia più lungo.

scritto da Lilia Sebastiani

tratto da “Mele e serpenti” – Laboratorio Teatrale 1993/95 del Liceo scientifico Renato Donatelli di Terni
a cura di Lilia Sebastiani e Maria Rita Bontempi
Testi di Chiara Betti, Arnaldo Casali, Michela Zafferani, Maria Rita Bontempi e Lilia Sebastiani
 
Andato in scena nel maggio 1994 al teatro Verdi di Terni e nel giugno 1994 al teatro Antoniano di Terni con Arnaldo Casali nel ruolo di Ulisse ed Emanuela Domenichetti in quello di Penelope

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