di Arnaldo Casali
La reazione scomposta del governo ucraino all’annuncio del Premio Nobel per la pace all’attivista bielorusso Ales Bialiatski, alla ong russa Memorial e a quella ucraina Center for Civil Liberties per “l’impegno per i diritti e contro gli abusi di potere” tradisce particolarmente significativo e – purtroppo – coerente il concetto di pace al quale obbliga la propaganda di guerra dalla quale siamo bombardati da ormai otto mesi.
Ed è grottesco e paradossale il fatto che – nell’attacco all’Accademia di Svezia – si siano trovati perfettamente d’accordo i due acerrimi nemici: il governo russo e quello ucraino.
Tristemente coerente, soprattutto, con l’altrettanto scomposto coro di indignazione che si è riversato su papa Francesco, quando il venerdì santo, ha chiesto di portare la croce, insieme, a una donna russa e una ucraina.
La voce che arriva da Kiev ci spiega – in sintesi – che non si possono premiare insieme i “rappresentanti” di due paesi aggressori insieme al “rappresentante” del paese aggredito, esattamente come non si potevano unire sotto la croce due vittime della guerra appartenenti al popolo aggredito e al popolo aggressore.
Per la precsione Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino, ha detto: “Il Comitato del Nobel ha una curiosa concezione della parola ‘pace’ se i rappresentanti di due Paesi che hanno attaccato un terzo ricevono il premio per la pace insieme”.
In questa parola – “rappresentante” – sta l’idea più agghiacciante di questa guerra. E cioè la volontà di esasperare un conflitto tra popoli e non lasciarlo confinato tra politici che ne sono responsabili.
Se tu sei russo tu diventi automaticamente “rappresentante” di Putin. Anche se Putin lo combatti da anni, anche se da Putin sei perseguitato. Perché il nemico – ho sentito ripetere molte volte in questi mesi da “rappresentanti” ucraini – non è Putin: sono tutti i russi.
E’ importante sottolineare come il Nobel per la pace non si è affatto posto in chiave neutrale rispetto alla guerra: i tre premiati, infatti, sono tutti contro Putin e nessuno è contro Zelensky.
Tutte e tre i premiati hanno subito le repressioni e la violenza di Putin, nessuno dei tre (a quanto ne so) ha messo in discussione le azioni del governo ucraino.
L’organizzazione russa premiata è stata chiusa dal presidente russo, mentre non mi risulta che l’organizzazione ucraina sia entrata in conflitto con il suo governo.
Quindi con quale coraggio si può parlare di “rappresentanti” degli aggressori?
Che cosa avrebbe dovuto fare, il Comitato del Nobel, per dare un senso dal Premio per la Pace? Premiare davvero Zelensky in persona? O “il popolo ucraino” (la sostanza non cambia – i soldi li avrebbe presi comunque Zelensky)? E a tutto il popolo? Anche quello “traditore” del Donbass, che ha salutato l’arrivo dei russi come una liberazione?
Secondo quale logica si può dare il premio Nobel per la pace a qualcuno perché sta combattendo una guerra? Non un politico che ha lavorato per la pace, ma che ha anche molte ombre di guerra – come Barak Obama o Henry Kissinger – ma un politico che ha fatto solo la guerra.
Il fatto che quella guerra possa essere giustificata, giusta – addirittura ‘santa’ – può arrivare a trasformare il Nobel per la pace in Nobel per la guerra?
Un premio che è stato istituito con il presupposto che la guerra è qualcosa di terribile che va scongiurata e fermata in ogni modo, può rinnegare apertamente sé stesso andando esattamente nella direzione opposta a quella per cui è stato creato?
Vorrei ricordare che Churchill, che aveva combattuto un’altra ‘guerra santa’ contro Hitler – il Nobel l’ha ricevuto per la letteratura, mica per la pace. E Obama e Kissinger lo hanno ricevuto prima di rinnegarlo con le loro azioni.
Lech Walensa, Aung Saan Su Kye, Nelson Mandela, il Dalai Lama combattevano anche loro una dittatura sanguinaria, ma senza armi e senza violenza, rispondendo all’odio con l’amore.
Rabin e Arafat lo hanno ricevuto nel momento in cui hanno trovato il coraggio di stringersi la mano e trovare un compromesso per cercare di fermare la guerra che insanguinava i loro popoli. E anche in quel caso – non dimentichiamolo – c’era (e c’è) un aggressore e un aggredito.
Insomma, discutibile quanto volete, ma il Premio Nobel per la pace un senso ha sempre cercato di mantenerlo, anche quando ha assegnato premio “sulla fiducia” o per la “buona volontà” a prescindere dai risultati concreti, vedi Unione Europea, Kofi Annan e lo stesso Obama.
Si può davvero assegnare il premio Nobel per la pace a un presidente che sta rifiutando – per l’ennesima volta – qualunque trattativa, determinato ad andare fino in fondo inseguendo la vittoria?