Liliana Cavani: il mio è un santo scomodo ma non un sessantottino o un eretico


DI EDOARDO T INCANI
Vedremo al Festival francescano pellicole ‘miliari’: si va da Frate Sole
di Ugo Falena e Mario Corsi (1918, cinema muto) a Francesco giullare di Dio
di Roberto Rossellini (1950), da Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini (1966) a

 Francesco
di Liliana Cavani (1989). La stessa Cavani, nel primo pomeriggio di domenica 27 settembre, sarà a Reggio Emilia per commentare il suo primo film sull’argomento, il Francesco d’Assisi del 1966, nella versione recentemente restaurata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e da Cinecittà Holding.
Quel film – con soggetto della stessa Cavani e di Tullio Pinelli, Lou Castel attore protagonista – fu il primo telefilm della Rai, girato in 16 mm, mandato in onda in due puntate: racconta un Francesco

scomodo, senza alcuna concessione agli aspetti miracolistici, dalle prime esperienze di gioventù al ritiro alla Verna e alla morte, il 4 ottobre 1226. Nella pellicola del 1989 il soggetto è di Liliana Cavani, che ne cura anche la sceneggiatura insieme a Roberta Mazzoni. Girato in inglese, il film ha per protagonista Mickey Rourke e prova a dare una lettura più mistica di quell’uomo speciale che compie il gesto rivoluzionario di abbracciare il lebbroso e riceve le stimmate da Nostro Signore.
 Liliana Cavani, dopo due film su Francesco la domanda è d’obbligo. Ne girerebbe un terzo?

«Quando la Rai mi propose il primo

 Francesco,
subito non pensavo di farlo. Poi lessi una biografia del Santo scritta dal Sabatier, peraltro all’indice, e le Fonti Francescane e ne venni conquistata. Mi misi nei panni di una cronista dell’epoca.
Andando alla Porziuncola, ho visto che ogni anno escono di continuo nuove ‘vite’ di Francesco, per cui anche di film se ne potrebbero girare un terzo, un quarto, all’infinito. È un bisogno dell’autore, quello di cimentarsi con lui, che è stato artefice di un’autentica rivoluzione culturale».

 Dov’è l’attualità di san Francesco?

«Nella risposta personale alla ricerca di Dio, un tema fondamentale. Per questo la vicenda di Francesco è sempre attuale: è
l’innamoramento di Dio. Anche se non è dato sapere da chi cominci, se dal partner o dall’Altissimo, il bello è la spontaneità, la grazia come aspirazione naturale degli uomini, un dono di cui c’è chi approfitta e chi no… È nella libertà di Francesco, credo, che molta gente trova l’essenza della fede, che non è una medicina o un diploma da prendere, ma una vocazione che si riceve».

 Si potrebbe anche dire quant’è moderna la semplicità…

«La modernità sta in quello slancio di fede che supera i manuali, i testi di meditazione. È la ‘leggerezza’ che permette a Francesco di scrivere il
Cantico delle creature come ha saputo farlo lui, da poeta libero, senza zavorre da ‘culturame’. Penso che questo modo di scoprire Dio sia un tratto intramontabile, è come Einstein che capisce che la luce è energia».

 Pur rimanendo laico, il suo modo di accostarsi al personaggio si fa più attento alla sfera religiosa nel secondo film. Il primo era un Francesco più dissidente dalla Chiesa, diciamo ‘pre­sessantottino’?

«Nel mio primo film non ho approfondito la qualità spirituale che c’era dietro il personaggio, cosa che ho ripreso nel secondo. Ma Francesco, nei confronti della Chiesa, è molto rispettoso: non è un eretico, non pensa per un attimo di fare la
guerra al Papa. Suo malgrado, accetta di avere dei discepoli, ma la sua regola – dice – è il Vangelo. Non vuole essere capo di un movimento, né sostituirsi alle autorità ecclesiastiche».

 Fu lei a proporre di girare un secondo film. Perché?

«Il desiderio di tornare sull’argomento mi era rimasto dentro. Girando il secondo film, per esempio, ho realizzato come Francesco sia il santo più amato anche da altre religioni, tant’è vero che quella produzione è stata proiettata a Teheran per un anno intero. Credo che ciò avvenga perché l’incontro con Dio di questo santo assomiglia a quello trasmesso da molte religioni: un impatto ineffabile e non ‘ingombrante’ con il Divino, insieme ad un’accoglienza dell’uomo e della natura sia nella loro bellezza che nella loro problematicità».

(da Avvenire del 23 settembre 2009)

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