La morte del senso civico

di Arnaldo Casali

L’unica amara considerazione che mi suscitano i risultati di queste elezioni, riguarda la scomparsa del senso civico.

Al di là di tutto, nel momento più basso che la politica italiana ha raggiunto, le elezioni amministrative segnano il trionfo della politica: le logiche di partito, infatti stanno uccidendo la meritocrazia anche nelle piccole città.

Fino a qualche anno fa era scontato che un sindaco che aveva governato bene venisse riconfermato, a prescindere dalle ideologie; tanto che nel 1997 a Terni – città tra le più rosse d’Italia – si arrivò al paradosso dell “anatra zoppa”: un sindaco di centro destra e una maggioranza di centro sinistra.

Questa tornata elettorale sconfessa definitivamente questo assunto. La bandiera che si indossa è più importante della capacità di governare una città. E la cosa più amara è che questo succede proprio fa nel momento in cui il primo partito, a livello nazionale, è un “non partito”, proprio un movimento che si è affermato richiamandosi al senso civico e al rifiuto delle logiche politiche.

A Bussolengo il sindaco Paola Boscaini (lista civica) che negli ultimi cinque anni ha fatto rinascere la città sotto tutti i punti di vista si ferma al 33,42% e arriva seconda, dietro a Riccardo Brizzi, candidato appoggiato da forze politiche trasversali (ufficialmente liste civiche, ma pare che dietro ci siano tanto PD quanto Forza Italia) che arriva al 36,76%, mentre il candidato di centro destra (Lega e Fratelli d’Italia) ottiene il ruolo di ago della bilancia con il 23%.

Ancora più amaro ed emblematico è quanto accaduto a Pomezia: Fabio Fucci, del Movimento 5 Stelle, a detta di chi nella città ci vive è stato un sindaco grandioso. Ha avuto solo una colpa: voler concludere il lavoro che aveva iniziato ricandidandosi e andando così contro il vincolo dei due mandati imposto dal M5s (aveva già fatto un anno da consigliere comunale di opposizione).

Seguendo il modello Pizzarotti, Fucci si è quindi ricandidato con una lista civica e si è visto contrapposto come candidato a sindaco un suo ex compagno di partito: Adriano Zuccalà. A differenza di Pizzarotti (che si è portato dietro praticamente tutti i grillini di Parma) però, a Fucci la rottura con il Movimento è costata prima la sfiducia e ora il ballottaggio.

Fucci ha infatti ottenuto infatti solo il 23,47% delle preferenze contro il 28,70 di Zuccalà, che va al ballottaggio con Pietro Matarese, candidato di Lega e centro destra, secondo con il 25,38%.

Due considerazioni dunque: la politica anche nel Movimento 5 Stelle uccide il buon governo, impedendo a un ottimo sindaco di continuare il suo lavoro, e trasformando un trionfo Cinque Stelle (insieme i due grillini avrebbero oltre il 51%) in una partita alla pari tra i due partiti al governo del Paese.

Va sottolineato che Fucci non ha altra colpa se non quella di essersi tolto lo stemma del M5s: non basta più, quindi, per essere grillino, farsi portavoce di determinati valori (le cinque stelle – appunto), è necessario essere essere inseriti nella gerarchia e avere una fedeltà ai vertici. Anche nel movimento di Grillo, dunque, le logiche partitocratiche hanno ucciso il merito: la fedeltà al partito è diventata più importante della bravura.

La cosa paradossale e grottesca, poi, è che il M5s possa firmare un “contratto” con la Lega ma non con un suo ex sindaco: possa governare con un partito che ha ideali, valori e storia agli antipodi ma non supportare un suo amministratore che si limitato a spezzare un vincolo di natura squisitamente formale.

Infine, Terni. Il candidato del PD Paolo Angeletti ottiene solo il 14,99%, e questo viene considerato da tutti un crollo vertiginoso per il partito che ha governato la città per 70 anni.

Eppure, per me, è anche troppo. Se consideriamo che il Pd è un partito defunto, che dopo aver raso al suolo Terni ha fatto di tutto per perdere le elezioni, se consideriamo che gli elettori del Pd avevano un’ampia scelta sia sul fronte moderato (Andrea Rosati) sia su quello di sinistra (Alessandro Gentiletti, Mariano De Persio ed Emiliano Camuzzi), il fatto che il 14% degli elettori abbiano scelto un candidato kamikaze e un partito relitto lasciando che le alternative – tutte credibili – arrivassero in tutto al 9,58, mi sembra un segnale pessimo: significa che gli elettori di centro sinistra ternani sono ancora conservatori e ideologizzati, che se ne fregano del buon governo e votano per senso di appartenenza: per – è il caso di dire – partito preso.

Che dire poi del 49,23% di Leonardo Latini, candidato del centro destra, e del 25,04 di Thomas De Luca del Movimento 5 Stelle?

Su Latini la prima considerazione è che proprio la destra gli ha impedito di diventare sindaco oggi: Piergiorgio Bonomi, candidato di CasaPound, gli ha rubato proprio quell’1,16% che gli serviva a vincere.

Senza dubbio deludente il risultato di De Luca, che i sondaggi davano dietro a Latini, ma certo non con la metà dei voti.

Si possono dare molte interpretazioni su questo risultato, ma quasi tutte riguardano la politica nazionale, dove – non a caso – il M5s è calato ovunque mentre la Lega cresce.
E non è difficile capire il perché: chi si accoda perde. E’ ovvio che l’alleanza Lega-M5s abbia penalizzato sopratutto i grillini, visto che il Governo è palesemente schiacciato sulle posizioni della Lega: basti pensare al caso Aquarius: la nave con 629 migranti alla quale Salvini ha chiuso tutti i porti, ottenendo il placet di Di Maio e le reazioni indignate di molta parte del M5s, e addirittura l’imbarazzante rimozione del post del sindaco grillino di Livorno in cui si dichiarava disponibile ad aprire il suo porto.

Insomma, chi comanda al governo è molto chiaro: Salvini tiene sotto scacco il Movimento 5 Stelle: se Di Maio e compari non fanno i bravi salta tutto, si torna alle elezioni e la Lega stravince con il centro destra. Quindi – come diceva il paninaro Braschi a Drive in – “mutismo e rassegnazione”. Così, per non perdere il governo nazionale, il M5s rischia di perdere anche quelli locali.

Il voto premia la Lega che si sta dimostrando coerente e punisce chi, in nome del potere, sta abdicando a tutti i suoi ideali (“nessuno deve rimanere indietro” era uno degli slogan del Movimento, che si ispirava apertamente al francescanesimo).

De Luca ha cercato – e cercherà nelle prossime due settimane – in ogni modo di marcare la differenza tra Movimento e Lega per riconquistare l’elettorato di sinistra. Il problema è che proprio la trasformazione del M5s da movimento civico a partito rischia di renderlo poco credibile. Quella stessa trasformazione che è costata il posto a Fucci.

Se il Movimento 5 Stelle fosse ancora una forza politica che riunisce il meglio della cittadinanza e non un partito chiuso in sé stesso che segue logiche squisitamente politiche, probabilmente oggi città come Terni e Pomezia sarebbero già a Cinque Stelle, mentre ora – proprio grazie al successo ottenuto a livello nazionale – hanno ottime probabilità di andare al centro destra.

Quella morte del Senso Civico che vediamo ovunque in Italia, allora, è ben rappresentata dalla metamorfosi del Movimento 5 Stelle. E non è certo un caso se quando cominciarono a nascere liste civiche a Cinque Stelle in tutta Italia, Beppe Grillo disse con determinazione, che non sarebbe mai nata una lista civica nazionale Cinque Stelle. Probabilmente aveva già capito che la politica avrebbe ucciso il senso civico, facendo cadere – una ad una – tutte le stelle.

“Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?”.

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