Il Movimento 5 Stelle affonda sulla Diciotti


di Arnaldo Casali

Se ai vertici del Movimento 5 Stelle fosse rimasto un briciolo di dignità e di onestà intellettuale, il quesito posto oggi per la votazione online sarebbe stato:

  • Vuoi restare al governo violando i tuoi sacri principi
  • Vuoi restare fedele ai tuoi valori rischiando di perdere il potere.

Ma l’onestà intellettuale, il M5s, l’ha persa da un pezzo: almeno da quando Luigi Di Maio ha sostituito Beppe Grillo e Lino Banfi ha preso il posto di Dario Fo, e la votazione online sul caso Diciotti decisa dal Movimento 5 stelle è l’ennesima presa in giro dei suoi iscritti e la definitiva arrampicata sugli specchi di un movimento politico che è riuscito a mantenere intatti i suoi valori per quasi un decennio, salvo poi sputtanarli tutti in un paio di anni.

La votazione del 18 febbraio non è una consultazione popolare ma un plebiscito: non serve a prendere una decisione ma a legittimare una decisione già presa; come è, peraltro, ormai prassi da anni.

Si è fatto molto parlare del paradosso per cui per dire sì all’autorizzazione a procedere devi votare no, e per dire no devi votare sì. Forse è l’ennesimo ridicolo stratagemma per confondere le idee, ma di certo non si può pensare a quando Beppe Grillo ironizzava sui referendum:

“Se vuoi dire sì devi votare no. Un po’ come se al matrimonio il prete ti dicesse: “Vuoi tu mandarla a cagare?”, “no”, “bene, vi dichiaro marito e moglie”!

Sono lontani i tempi in cui la “base” decideva davvero qualcosa: le primarie per Parlamento, sindaci e presidente della Repubblica, le posizioni da prendere su immigrati e sul dialogo con Renzi. Sin dalla nomina del “direttorio” agli iscritti del Movimento non viene chiesto di prendere una decisione ma di ratificare una decisione già presa. Si tratta di votazioni puramente formali: basti pensare a quelle per scegliere il leader politico – con Di Maio e i sette nani – o quella sul contratto di governo.

Più che la democrazia partecipativa, oggi, quella del Movimento 5 Stelle è una democrazia fascista: perché anche durante il regime c’erano le elezioni, solo che anziché scegliere i parlamentari il cittadino doveva approvare o rifiutare il parlamento già nominato da Mussolini.

Così, anche questo ennesimo plebiscito lanciato per cercare di uscire dalla situazione più imbarazzante in cui si sia trovato il Movimento chiede agli iscritti di decidere quello che è stato già deciso.

Non a caso il quesito indirizza sfacciatamente il voto senza preoccuparsi nemmeno di apparire imparziale.

Questo il testo:

Ricordiamo brevemente i fatti. Tra il 20 e 25 agosto scorso, mentre 137 migranti si trovavano sulla Diciotti, ovviamente con assistenza sanitaria e alimentare, il Ministro degli Esteri e il Presidente del Consiglio Conte stavano sentendo i leader degli altri paesi europei affinché ognuno accogliesse la propria quota di migranti. Questo accordo doveva essere raggiunto prima dello sbarco perché, altrimenti, sarebbero dovuti rimanere tutti in Italia. E questo a causa del Regolamento di Dublino, che impone che il primo Paese di approdo debba farsi carico di tutti i migranti che arrivano in Europa.

Il ministro dell’interno Salvini, d’accordo con il Ministro dei Trasporti Toninelli, il Vice Presidente del Consiglio Di Maio e con il Presidente Conte, negò quindi lo sbarco fino a che l’accordo non fosse stato raggiunto. Per questa vicenda il Tribunale dei Ministri di Catania ha deciso di inquisire il Ministro dell’interno perché ha considerato il ritardo dello sbarco dalla nave un sequestro di persona e ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere.

Su questo si deve esprimere con un voto prima la Giunta per le autorizzazioni a procedere e poi l’Assemblea del Senato. In pratica, se il Parlamento nega l’autorizzazione a procedere, sta affermando che il Ministro ha agito per interesse pubblico o interesse dello Stato, e che quindi non sarà processato. Nel caso invece venga data l’autorizzazione, il Ministro dell’interno andrà a processo.

Questo quindi non è il solito voto sull’immunità dei parlamentari. Di quei casi si occupa l’articolo 68 della Costituzione, e su quelli il MoVimento 5 Stelle è sempre stato ed è inamovibile: niente immunità, niente insindacabilità. Nessuna protezione per i politici che devono rispondere delle loro azioni individuali. Noi mandammo a processo i nostri portavoce Paola Taverna e Mario Giarrusso e entrambi votarono per farsi processare.

Questo è un caso diverso: stiamo parlando infatti dell’articolo 96 della Costituzione. Nello specifico questo è un caso senza precedenti perché mai in passato si era verificato che la magistratura chiedesse al Parlamento di autorizzare un processo per un ministro che aveva agito nell’esercizio delle sue funzioni e non per azioni fatte per tornaconto privato e personale (tangenti, truffa, appalti, etc): in questo caso non ci porremmo neppure il problema e lo spediremmo in tribunale.

Quindi ora siamo chiamati a decidere.

Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?

 – Sì, quindi si nega l’autorizzazione a procedere

 – No, quindi si concede l’autorizzazione a procedere

Innanzitutto vale la pena di ricordare che Salvini si assunse da subito la piena responsabilità della scelta sfidando i magistrati che volevano indagarlo, e in un primo momento aveva accettato di farsi processare seguendo il principio – sacrosanto per il Movimento 5 Stelle – che ci si debba difendere nel processo e non dal processo.

Solo quando Salvini ha cambiato idea i vertici del Movimento gli sono andati dietro, prima con le autoaccuse di Conte e Di Maio, e poi mettendo sempre più in discussione l’autorizzazione a procedere (conseguenza di quella stessa immunità parlamentare che il M5s ha sempre combattuto).

Dunque secondo il quesito convocato in fretta e furia per cercare di togliersi dall’impiccio, il semplice cittadino dovrebbe sostituirsi alla Magistratura decidendo se la scelta di Salvini sia stata legale o meno. Tutto questo per la lavare le mani dei Parlamentari del M5s, unici deputati a prendere questo genere di decisioni e fingere che la decisione – che ha come unico fine quello di restare sottomessi alla Lega – sia stata presa dagli elettori.

Per poter violare uno dei principi sacri del Movimento, poi, si chiama in causa il fatto che Salvini & sodali non hanno agito per fini privati, ma nell’esercizio delle proprie funzioni. Che è un po’ come dire: siamo contrari ai ladri, ma non ai dittatori.

Eppure un dittatore è più pericoloso di un ladro: perché un conto è rifugiarsi dietro l’immunità per fare i propri comodi, un conto è considerarsi al di sopra della legge. Un ladro impunito non mina uno stato di diritto, ma un ministro che in nome del sostegno popolare pensa di poter sostituire il potere giudiziario con il suo e quello dei suoi sostenitori getta le basi per una dittatura. Le separazione dei poteri è uno dei fondamenti della Costituzione, ma questo il quesito posto agli iscritti si guarda bene dal ricordarlo.

Nemmeno Silvio Berlusconi era arrivato a tanto: lui si scriveva le leggi su misura ma non ha mai preteso di essere al di sopra della legge, accusava i magistrati di perseguitarlo per motivi politici (peraltro, non del tutto a torto) ma non ha mai sostenuto che il potere giudiziario potesse essere sostituito da quello esecutivo.

Infine una piccola testimonianza: mentre scrivevo l’articolo ho cercato di votare, e ovviamente ho votato no. E non perché voglio accogliere tutti gli immigrati, ma perché credo che nessuno sia al di sopra della legge.

Curiosamente, però, la mia votazione non è stata acquisita: nel momento in cui ho votato “no” è comparsa una scritta in cui mi si chiedeva se ero proprio sicuro di voler votare no, perché la mia sarebbe stata una scelta definitiva. Quando ho confermato il mio voto, la schermata è tornata alla pagina iniziale. Ho ripetuto il voto e ripetuto la conferma, tornando sempre alla prima schermata finché il sito non è andato offline.

Offline, un po’ come i principi su cui è nato dieci anni fa il Movimento 5 Stelle.

UNA MEMORIA FACEBOOK DEL 18 FEBBRAO 2017

Oggi Luigi Di Maio su un’intervista al “Il Tempo” annuncia che con i soldi che vincerà nelle cause contro i quotidiani, costituirà un Fondo per i giornalisti precari.

Da giornalista precario da 16 anni (ed ex addetto stampa volontario 5 stelle) confesso di non avere questa grande ambizione a ricevere l’elemosina di quello che i giornali continuano a definire il “Candidato in pectore” del Movimento (e mi auguro che sia parte del cialtronismo di certi giornalisti). Ciò nonostante, sarebbe interessante conoscere i dettagli di questo progetto. Ovvero, quanto devo sperare che Di Maio riesca a spillare ai giornali che lo hanno infamato e come Luigi pensa di poter gestire questo fondo.

Mi permetto anche di constatare anche una cera incoerenza tra la battaglia contro il finanziamento pubblico dei giornali portata avanti da Beppe Grillo da prima ancora della nascita del M5s e l’idea che un fondo partitico messo a disposizione di giornalisti.

Già che ci sto, confesso anche un certo fastidio nel vedere un parlamentare che ogni giorno a reti e giornali unificati parla di tutto tranne di ciò che lo compete: e cioè il lavoro che quello che avviene nella Camera dei Deputati.

Davvero il mio spirito grilliano non riesce a capire a che titolo un deputato napoletano debba pontificare ogni giorno su quello che sta accadendo nel Comune di Roma.

Mi ricorda Matteo Renzi che quando era sindaco di Firenze – e prima ancora di diventare segretario del PD – si faceva già perno delle dinamiche politiche nazionali.

Io penso che di Roma dovrebbe parlare Virginia Raggi, e mi pare peraltro che se la cavi benissimo associando determinazione e umiltà, dialettica politica e schiettezza, e semmai dovrebbero darle man forte i suoi assessori e i suoi consiglieri comunali, I parlamentari dovrebbero pensare a fare i parlamentari.

Il Movimento mi piaceva proprio perché spezzava questo tipo di logiche politiche, per cui il partito si sovrappone all’amministratore. Non dimentichiamo che le Cinque Stelle erano quelle della Liste civiche. E al tempo delle liste cinque stelle Grillo affermava che non avrebbe mai fondato una lista civica nazionale, probabilmente perché aveva già intuito le dinamiche partitiche che ne sarebbero inevitabilmente scaturite.

Oggi vedo sempre più spesso questo tipo di interferenze: consiglieri comunali che lasciano il loro seggio per andare a fare campagna elettorale per le regionali, Consiglieri regionali che prendono ordini da consiglieri comunali di altre regioni, opinionisti-tuttologi ospiti di quegli stessi salotti televisivi severamente proibiti fino a qualche anno fa.

Se alla buona amministrazione si sostituirà l’ideologia anche nel Movimento Cinque Stelle, allora sarà l’inizio della fine.

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