La crisi di governo e la nascita del dissenso grillino

di Arnaldo Casali

C’è un aspetto particolarmente singolare, forse inquietante, emerso durante questa crisi di governo: è l’improbabile nascita del dissenso grillino.

Con l’approssimarsi dell’accordo con il PD e della votazione sulla piattaforma Rousseau, tutta una serie di personaggi che non si sono mai sognati di esprimere anche il minimo dissenso nei confronti della linea dettata dai vertici – anche quando si trattava di rinnegare i valori più sacri del Movimento e stendersi a pelle d’orso sotto i piedi di Matteo Salvini – oggi non hanno remore ad esprimersi in direzione ostinata e contraria rispetto a Beppe Grillo e a fare campagna contro l’accordo con il Pd.

Se lo stesso Grillo è sceso in campo invitando i suoi a smetterla con le chiacchiere e le discussioni sulle poltrone e a cogliere un’occasione storica (tanto da ricevere, per la prima volta negli ultimi quindici anni, il plauso dello stesso Partito Democratico) altri esponenti come Gianluigi Paragone (ex direttore della Padania, oggi senatore M5s) lanciano slogan come “Mai col PD”.

La cosa è singolare, si diceva, perché fino ad oggi nel Movimento 5 Stelle il dissenso non era, semplicemente, contemplato: chi non si allineava in tutto e per tutto veniva cacciato, denigrato o emarginato.

Paragone all’indomani della catastrofe delle europee, quando sembrava che Di Maio dovesse essere silurato, si era permesso di invitare il leader politico a lasciare una delle poltrone che occupa, ma subito dopo era tornato sui suoi passi arrivando a rimettergli nelle mani il proprio mandato temendo di averne perso la fiducia.

C’è chi come Mascia Aniello – candidata alle parlamentarie del 2018 e assistente del gruppo regionale dell’Umbria – è arrivata a cancellarsi da Facebook quando Bugani, tre più influenti “eminenze grigie” del M5s, è entrato in conflitto con Di Maio e si è dimesso dai suoi incarichi, salvo tornare lancia in resta ora che la situazione ai vertici sembra ricomposta.

Il voto su Rousseau, poi, ha perso ormai da tempo qualsiasi credibilità, e da anni non serve a consultare davvero la base ma solo a ratificare e legittimare decisioni già prese dall’alto.

Vale la pena di ricordare che quando il voto online era ancora una cosa seria, Grillo fu costretto dagli iscritti a incontrare Renzi: quello che doveva essere un confronto, però, si trasformò in un monologo in cui il fondatore del M5s impedì al segretario del Pd anche solo di aprire bocca.

Da allora tutte le votazioni, se pure non fossero truccate (nessuno può verificarlo) sicuramente sono pilotate: le questioni che vengono poste agli iscritti sono state presentate in modo sfacciatamente partigiano (si pensi al voto sul processo a Salvini) e di fatto fino ad oggi da parte di attivisti e politici grillini si sono viste solo ed esclusivamente prese di posizione a favore della linea assunta dai vertici.

Ora, dunque, per la prima volta, abbiamo politici e attivisti del Movimento 5 Stelle che si schierano contro le posizioni prese dal fondatore e del leader politico e invitano a votare contro la linea ufficiale. O almeno, quella che sembra essere tale.

I casi, a questo punto sono due: o nel Movimento 5 Stelle è finalmente tramontata l’epoca del pensiero unico e sono nate le correnti, oppure i vertici del Movimento stanno facendo il doppio gioco: alla luce del sole si muovono in un modo, e nell’ombra preparano qualcosa di completamente diverso.

Certo, se davvero fosse in atto un scontro nel Movimento tra i filo leghisti e i filo democratici, sarebbe normale trovare sul fronte di destra un ex leghista come Paragone e attivisti che si sono totalmente riconosciuti nella linea di Salvini, ma resta sospetto tanto coraggio nell’andare contro i vertici in chi, fino ad oggi, si è mostrato conformista o quantomeno prudente. Resta da capire, poi, il ruolo di Di Maio, che non solo è rimasto alla guida del M5s nonostante i danni fatti, ma che alla vigilia delle votazioni online ha finito per ammettere pubblicamente che l’arroganza da lui ostentata nei confronti del PD ha coinciso con l’offerta, da parte di Salvini, di diventare premier.

Resta tuttavia il sospetto che i vertici del Movimento possano aver cambiato davvero idea (magari in seguito ad un nuovo e segreto accordo con la Lega) e vogliano far saltare il governo con il PD facendosi scudo con il voto online.

Quale altro modo può esserci, infatti, per giustificare con Mattarella e il popolo italiano una condotta tanto scellerata, se non quello di dire: “Noi ci abbiamo provato, ma i nostri non sono d’accordo, e noi rispettiamo sempre il volere della base”?

Certo, non si può escludere nemmeno che le cose stiano esattamente all’opposto: e cioè che per giustificare l’accordo con l’eterno nemico di fronte a tutti i simpatizzanti filo-leghisti il Movimento voglia dimostrare che il nuovo governo non è frutto di intrallazzi di palazzo ma di un reale e democratico dibattito interno. Cosa che, peraltro, aumenterebbe il potere contrattuale con il PD: della serie “guarda quanti nemici mi sono fatto per stare con te: ora vedi di farmi governare bene”.

Resta il fatto che, per la prima volta, si sta assistendo ad un reale – e infuocato – dibattito pubblico nel Movimento 5 Stelle: per un motivo, o per l’altro, dunque, Grillo e i suoi hanno deciso di lasciare per una volta gli attivisti a briglia sciolta, fermo restando che la maggior parte di essi continua a mostrare una certa prudenza, mantenendosi neutrale e limitandosi ad una difesa d’ufficio del Movimento, dei suoi metodi e persino di Di Maio.

Nel frattempo, a tutti quelli che continuano a ricordare le innumerevoli contumelie indirizzate da Grillo nei confronti del Partito Democratico, vale la pena di ricordare che le peggiori contumelie si riservano ai traditori, non agli oppositori. E che il traditore è geneticamente ben più vicino del nemico storico.

Va ricordato anche che prima di fondare il Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo ha tentato di candidarsi come segretario del Partito Democratico. E certo non gli è mai passato per la testa di compiere una scalata della Lega.

Il “male assoluto” – per Beppe Grillo e il M5s – era Silvio Berlusconi; il PD, al contrario, è sempre stato il partito di riferimento: gli stessi Di Maio e Di Battista hanno ripetuto più volte di essere ex elettori delusi del PD.

Il Movimento 5 Stelle nasce in gran parte per colmare il vuoto lasciato da un Partito Democratico che ha tradito e deluso i suoi elettori, e questo significa che i valori di base, al netto dell’ideologia, sono gli stessi.

Basti pensare al discorso immigrati: il Movimento 5 Stelle nasce il giorno di San Francesco (che a differenza della Madonna di Medjugorje difficilmente può essere strumentalizzato in chiave nazionalista) con lo slogan “nessuno deve restare indietro”, e uno dei primi voti online degli iscritti dettò a Grillo la linea a favore dell’accoglienza.

Il problema è che negli ultimi cinque anni il Movimento 5 Stelle ha commesso gli stessi errori imputati al PD: ha perso il contatto con i cittadini per rifugiarsi nei palazzi, ha impostato una gestione verticistica senza ascoltare più la base, ha accettato compromessi e si è spartito le poltrone con gli alleati di governo, ha messo a tacere il dissenso ed espulso i propri militanti in nome della disciplina di partito, ha creato politici professionisti che non hanno lavorato un giorno in vita loro e meccanismi di carrierismo basati sulla vicinanza al capo anziché sulla meritocrazia, ha rinunciato a dire cose giuste per inseguire il consenso, trasformato la democrazia partecipativa in consultazioni di facciata, organizzato primarie dopo aver deciso chi le avrebbe vinte, si è trovato invischiato in indagini giudiziarie di ogni sorta restando vittima di quel complesso di “superiorità morale” tipicamente comunista che porta ad usare due pesi e due misure diventando giustizialista con gli altri e garantista con i tuoi (basti pensare al rispetto a fasi alterne della magistratura); in più ha prestato il fianco ad una deriva razzista e autoritaria della politica, regalando potere e consensi ad un partito che rappresentava il 15% degli italiani.

Se oggi il PD ha più scheletri nell’armadio del Movimento 5 Stelle, è solo perché ha avuto molto più tempo per accumularli, ma davvero Grillo, Di Maio & Casaleggio non hanno più alcuna ragione per ritenersi superiori a Renzi & Zingaretti.

Un governo giallorosso, dunque, è molto più naturale e legittimo di quello gialloverde, che ha portato un partito di minoranza al potere, il M5s alla rovina e l’Italia nella Repubblica dei bimbominkia.

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