JOKER è un capolavoro perché non c’entra niente con Batman

di Arnaldo Casali

Sono andato al cinema a vedere Io, Leonardo, e visto che dura poco e mi ha lasciato molto insoddisfatto, uscito dalla proiezione mi sono infilato in un’altra sala per vedere gli ultimi trenta minuti di Joker.

Non avevo intenzione di vedere Joker  perché odio  i film sui supereroi (ad eccezione di Spider-Man al quale sono fedelissimo), e  odio in particolare Batman: ho trovato Il cavaliere oscuro una cagata pazzesca e considero il primo Pipistrello il film peggiore di Tim Burton.

Insomma trovo totalmente ridicoli quelli che si ostinano a considerare opere d’autore dei fumettoni con un uomo vestito da pipistrello che guida un’automobile ridicola e combatte cattivi cattivissimi tra esplosioni colorate e frasi ad effetto.

Quanto al Joker, se Jack Nicholson gigioneggiava facendo la caricatura dei personaggi che lo avevano reso famoso (diciamoci la verità: Nicholson è un grande attore ma ha fatto per quasi tutta la sua carriera lo stesso personaggio con il solito ghigno e la faccia da matto) di Heath Ledger si disse che la sua interpretazione era stata così “intensa” da ucciderlo e gli diedero addirittura l’Oscar postumo per quella che – di fatto – era la solita macchietta giusto un po’ più seriosa di Nicholson ma certo non più credibile.

Niente a che fare con questo Joker: qui abbiamo davvero un film d’autore, qui abbiamo davvero un’interpretazione di un’intensità impressionante: da Jesus a Joker, da Dio al Demonio, davvero il passo per un gigante come Joaquin Phoenix è brevissimo.

Ma Joker – appunto – non ha niente a che fare con i film di supereroi, ed è piuttosto una sorta di incrocio tra Re per una notte e Taxi Driver, e non a caso è anche  il primo film uscito negli ultimi vent’anni in cui Robert De Niro rende giustizia al suo mito e non appare un relitto, una celebrazione o una parodia di sé stesso (a differenza di Al Pacino nel film di Tarantino).

Insomma mi è venuta una gran voglia di vederlo tutto, questo film. Così il giorno dopo sono tornato al cinema e – sì, decisamente vale la pena (è il caso di dire, visto l’opprimente angoscia e la violenza estrema) di vedere questo film che, confermo, con i fumetti e i supereroi non c’entra niente, ma è un film d’autore a 360 gradi, che affronta moltissime tematiche: dalla malattia psichiatrica ai meccanismi dell’umorismo (emblematica la risata caratteristica del protagonista che è al tempo stesso tic, pianto e grido disperato): perché l’umorismo è ribellione, è disagio, e questo film cupo, angosciante, serissimo è  – paradossalmente – anche un film sull’umorismo: basti pensare che l’immagine tragedia familiare, umana, sociale che racconta si conclude con una vera e propria gag da circo.

Significativo anche il film che la famiglia Wayne è andata a vedere al cinema quando viene uccisa: Zorro the Gay Blade: una parodia dell’eroe mascherato che ha ispirato Batman.

E’ un film sulla risata come “sentimento del contrario” ma è anche un film sulla celebrità inseguita come riscatto personale. E’ un film sul cinismo con cui la televisione sfrutta casi umani per fare spettacolo (non è certo un caso se il personaggio di Rober De Niro ricordi così tanto Maurizio Costanzo, e non è certo un caso se il film è ambientato nello stesso anno in cui nacque il Maurizio Costanzo Show su imitazione dei talk show americani): l’intervista a Joker di Murray Franklin – così venata di pietismo, malizia, sarcasmo e severità porta alla mente l’immagine di Barbara D’Urso che intervista Pamela Prati (e quanti di noi non hanno sognato per la conduttrice italiana lo stesso destino del collega americano?) e la guerra civile scatenata dai pagliacci contro “i ricchi” evoca il populismo di Matteo Salvini contro i “professoroni” : la violenza ottusa contro le oligarchie dei potenti.

E’ un film che non fa ridere ma mette a disagio, entrando nella radice stessa dell’umorismo.

In effetti considerare Joker un semplice omaggio a Taxi Driver Re per una notte è ingeneroso: Joker è molto di più e forse, sì, anche un omaggio a Batman (in fondo il ruolo della famiglia Wayne è determinante nella trama e al piccolo Bruce viene ritagliato uno spazio non irrilevante) ma resta il fatto che se è un maestoso affresco sociale e psicologico, che parla di politici che tagliano i fondi alla sanità per investire sulla campagna elettorale, sull’immaginazione che si confonde con la realtà, sul disperato bisogno che abbiamo di gentilezza e di affetto (e su come anche piccoli gesti possano cambiare il destino): è il grido di dolore di una società che non può o non vuole aiutare i suoi soggetti più deboli e preferisce trasformarli in mostri, è la denuncia di un paese dove ogni giorno avvengono stragi di massa commessi da psicolabili che non hanno trovato assistenza; di certo, invece, non  è molto credibile come opera sulle origini di un personaggio destinato a ben altra gloria rispetto al destino che il finale sembra destinargli.

Insomma un esperimento cinematografico di notevole valore che prende come pretesto narrativo un Joker Begins per realizzare un film agli antipodi rispetto al modello bidimensionale del fumetto: un film dove non ci sono buoni né cattivi, non ci sono epiche battaglie, non ci sono costumi sfavillanti e non ci sono effetti speciali. Ma, soprattutto, non ci sono antagonisti da sconfiggere né eroi che fanno giustizia: dove tutto, a partire dallo sguardo struggente del protagonista, è terribilmente e tragicamente umano. E reale.

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