INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI


Un anno e mezzo fa eri venuto a Terni per presentare “La pecora nera” e ci avevi raccontato di voler fare di questo spettacolo un libro. Ora sei tornato per presentare il nuovo spettacolo Appunti per un film sulla lotta di classe e il libro della Pecora nera. Quale è stato il percorso fatto in questo tempo?

 

“Il libro e lo spettacolo sono nati insieme, come è accaduto per “Scemo di guerra”, anche se poi lo spettacolo per me è anche un momento di riscrittura, quindi passa sempre un po’ di tempo dal debutto dello spettacolo all’uscita del libro. La pecora nera è stato pubblicato da Einaudi a ottobre del 2006 e lo spettacolo ha debuttato a ottobre dell’anno prima. Ma la storia della Pecora nera ha avuto una costruzione molto lunga. Ho iniziato a fare interviste nel 2002 e sono ormai cinque anni che ci lavoro”.

 

Una storia che non è ancora finita.

 

“La porto ancora in giro, così come giro anche con spettacoli degli anni scorsi. A Spello ho sono stato da poco con “Vita, morte e miracoli” uno spettacolo che risale al 1999. Quindi anche Fabbrica, La pecora nera, Scemo di guerra. Il progetto attorno al manicomio si concluderà, spero, con la messa in onda televisiva dello spettacolo teatrale. La ripresa probabilmente la faremo a marzo, quando rifarò lo spettacolo all’Ambra Iovinelli, e credo che da lì La pecora nera prenderà un percorso legato al video, ma sostanzialmente il progetto è già chiuso”.

 

Ci sono poi le interviste che avevi realizzato per preparare lo spettacolo.

 

“Ci sono molte interviste inedite che nel frattempo sono diventate anche un programma radiofonico per Raitre, che si chiama “Bella ciao”. In realtà ci sono molte ore di registrazioni. Calcola che io più o meno ho registrato 40-50 persone per 150-200 ore di registrazione in video; registrazioni fatte con una troupe, quindi anche di buona qualità. E sostanzialmente di tutto questo materiale sono andate in onda solo le interviste fatte a due persone. Quindi il materiale sarebbe tanto. In realtà quando lavoro io cerco il più possibile di raccogliere materiale che sia tecnicamente utilizzabile, ma l’intervista la faccio perché mi serve di raccogliere storie, non so mai bene quello che ci si farà dopo. La maggior parte delle cose che ho registrato non ci ho fatto niente, stanno in archivio e basta.

 

Poi c’è anche questo progetto di un film sulla lotta di classe.

 

“E’ un progetto che ho da un sacco di tempo, quello di fare un film sulle storie legate al lavoro precario, e in particolare al call center. Intanto già da un anno ho iniziato a fare interviste ai lavoratori un call center, in particolare di uno che sta in periferia di Roma, dove lavorano 4000 persone, e che appartiene ad un gruppo – Almaviva – che è uno dei più grossi d’Italia. L’idea è quella di fare quindi un documentario che probabilmente sarà pronto a settembre-ottobre. Insieme al documentario c’è anche l’idea di farne un film. Ora, io ci metto due-tre anni per fare uno spettacolo teatrale, non so quanto ci metterò per fare questo film. Anche perché rispetto ad altri progetti che ho portato avanti in questi anni, questo cambia anche molto velocemente, perché è la realtà, che si modifica intorno. Io, quindi, so che sto facendo un documentario, so che con i musicisti che sono in scena con me faremo un cd entro l’estate, per il resto è un lavoro che io stesso sono curioso di vedere come andrà a finire”.

 

La novità di questo spettacolo è che qui ti esibisci anche come cantante.

 

“In realtà io faccio sempre la stessa cosa, sia quando scrivo, sia quando faccio un documentario, sia quando canto una canzone. A me interessa raccontare delle storie, mi piace mettere sotto un genere letterario quello che faccio. Non sono un cantante, come non sono uno scrittore; anche quando canto racconto semplicemente delle storie”.

 

Quindi non avevi la vocazione del cantante.

 

“Ma in realtà io non canto, racconto. D’altra parte anche quando faccio teatro molti mi dicono che il mio non è vero e proprio teatro, così come i miei romanzi, che non sono veri romanzi. A me va bene così, alla fine io penso che la cosa più importante non è il mezzo, ma il linguaggio, e il linguaggio che uso è sempre lo stesso. Non è tanto il discorso del contenuto che mi interessa, ma la tecnica. Per quanto riguarda il contenuto, io faccio più o meno faccio sempre la stessa cosa: ascolto storie e racconto storie”.

 

A vederti sembri quasi uscito da un quadro dell’Ottocento, e la tua arte – quella di raccontare storie – è la più antica del mondo. Insomma sembri un artista di altri tempi, eppure nei tuoi testi inserisci degli elementi che lasciano emergere l’immaginario di chi è nato negli anni Settanta. Penso a Paperninik e al supermercato.

La nostra, quella dei nati negli anni Settanta, è stata definita “Generazione X”. Come vivi quest’appartenenza?

 

“La nostra generazione, secondo me, non è tanto quella cresciuta con l’ovetto kinder, ma soprattutto quella che ha visto i lupini, le arance e le mele tutto l’anno; è la generazione che ha visto la scomparsa delle stagioni, dei ritmi delle stagioni. Per noi l’inverno e l’estate sono sostanzialmente la stessa cosa. Mangiamo le stesse cose, ci vestiamo in modo da vivere nella stessa temperatura. Per la maggior parte delle persone – come mia moglie che lavora in ufficio, o chi lavora al supermercato – la temperatura è sempre la stessa. Viviamo in luoghi dove c’è sempre la stessa temperatura, la stessa illuminazione, gli stessi prodotti. Per cui abbiamo quest’idea del tempo che si è fermato. Viviamo in un azzeramento del tempo e uno schiacciamento del tempo. Ognuno si veste come gli pare: chi veste anni ’60, chi anni ’80, ognuno si sceglie l’epoca che vuole e tutto diventa presente. Questo rende anche la nostra cultura una specie di supermercato, dove tu entri e sembra che puoi avere a disposizione tutto e devi solo scegliere se appartenere ad un’area politica piuttosto che un’altra, mangiare un cibo piuttosto che un altro, però hai comunque davanti un insieme enorme di culture.

Questo è il tempo in cui viviamo; poi cerchiamo, soprattutto quelli della nostra generazione, nella televisione mille canali, vogliamo avere il supermercato anche nel plasma, nel tubo catodico, nei cristalli liquidi, ma anche nel teatro, nel cinema. Detto questo, può essere anche una gran fregatura, perché le stagioni continuano ad esserci, e anzi se non ci sono ci mettiamo paura, perché devono esserci, le stagioni. La nostra generazione vive oggi una situazione abbastanza complicata perché non riusciamo ad avere consapevolezza di quello che ci sta succedendo, ed abbiamo l’impressione che tutto ci succede velocemente. Ma soprattutto c’è la perdita della possibilità di conoscerla, la realtà che ci sta intorno. Una volta il problema era avere le informazioni. Non sapevi cosa avveniva in Cina o in Africa. Bisognava addrizzare le antenne per sapere quello che succedeva lontano. Oggi è il contrario, sono le antenne che ci confondono, perché raccogliamo miliardi di informazioni. Più che raccogliere dobbiamo selezionare. Questo è il modo per conoscere: raccogliere, selezionare, filtrare”.

 

E in questo grande supermercato tu personalmente come hai capito cosa volevi fare?

 

“Leggo pochi giornali, guardo pochissima televisione. Non mi informo. Non mi interessa sapere le cose, mi interessa saperne una. Sul tema del manicomio io voglio conoscere bene quello. O meglio, capire la realtà attraverso quella prospettiva.

Io mi sono formato facendo laboratori di teatro e continuo ad incontrare gente che ha studiato con me, che ha passato gli ultimi quindici anni a fare laboratori di tutto, e quindi sa qualcosa sul massaggio shiatsu sulle erbe medicinali, sul teatro No, sul teatro Katakali, ha fatto teatro danza in Germania. Ha fatto tutto, però ha fatto poco di tutto e quindi alla fine non sa quasi niente, ha questa cultura da canali satellitari. Secondo me invece è molto più interessante andare al centro del proprio oggetto di studio e di conoscenza, e da quello poi allontanarsi, muoversi. Altrimenti raccogliamo informazioni come si raccoglie immondizia dai cassonetti”.


(ascolta la seconda parte dell’intervista su Adesso in onda)

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