di Arnaldo Casali
Ho incontrato per la prima volta Nino Manfredi negli anni ’40, in un bordello.
Stavo salendo le scale con una ragazza bellissima quando all’ingresso un cliente si mise a litigare con un poliziotto. L’amico che era con lui – un tipo grosso e gioviale – lo chiamava Nino. Il poliziotto era suo padre: era venuto per un controllo e si era infuriato trovando il figlio in quel luogo.
La cosa, lì per lì, mi lasciò indifferente. Avevo ben altro a cui pensare! Portai in camera Alice e passai una delle serate più belle della mia vita.
Qualche anno dopo ero a pranzo in trattoria, a Madonna Scoperta, quando riconobbi il volto di quel ragazzo nel cameriere che mi stava servendo la cicoria, e che si mise a battibeccare con due camicie nere che si lamentavano della lentezza del servizio.
La cicoria era ottima, devo dire. E anche il vino. Come è piccolo il mondo, mi dissi, guardando quel cameriere. Ma chi l’avrebbe detto che presto mi sarei trovato a lavorare con lui?
Era il 1952, o forse il 1953 e me lo ritrovai sul set: io facevo il macchinista per una commedia chiamata Marisa e il pastorello, e mi occupavo di battere il ciak. Giravamo in una strada di montagna, faceva un caldo bestiale e c’era un branco di pecore che doveva entrare in scena. Il protagonista del film doveva fermarsi, con il sidecar, per chiedere informazioni a un pastore.
Beh, non ti ritrovo proprio quel cameriere, nel ruolo del pastore? La scena era abbastanza divertente, perché lui aveva un marcato accento ciociaro e il regista gli disse di mantenerlo perché faceva ridere.
Non ci ho scambiato molte parole, perché lui se ne stava abbastanza sulle sue: anche se aveva una parte piccolissima se ne stava concentratissimo a studiarla e a prepararla tutto il tempo. Chiesi al regista come si chiamava, quel ragazzo, e mi disse “Nino Manfredi”.
Quel volto che avevo incrociato già tre volte nella mia vita, aveva finalmente un nome e un cognome. Era una parte davvero piccola, ma mi dissi che quel ragazzo avrebbe fatto strada.
E la fece davvero: era il 21 ottobre 1959, ormai ero in pensione e mi stavo bevendo una Coca Cola al bar. C’era il televisore acceso e stavano trasmettendo la prima puntata di Canzonissima. A quei tempi, lo sapete, non è che la gente aveva il televisore a casa, e quindi si erano radunati tutti sui tavolinetti di Pazzaglia per guardare lo spettacolo. Delia Scala era straordinaria, ma quando arrivò lui – Nino Manfredi – tutto il locale venne giù dalle risate. Mentre mi scompisciavo e mi vantavo di averlo conosciuto di persona, quando ancora non era nessuno, mi sono accorto che dietro di me c’era un uomo che piangeva e rideva nello stesso tempo.
Lo osservai attentamente, e riconobbi in quel vecchio il poliziotto che stava litigando con Nino nel bordello. Era il padre, che tanto lo aveva osteggiato e che ora lo applaudiva commosso.
Beh, questa è la mia storia. Non sono che una comparsa, nella vita di un grande artista. Ma sono contento di farne parte.