Il ragazzo invisibile – seconda generazione

di Arnaldo Casali

Dopo il successo di Il ragazzo invisibile, tre anni fa, Gabriele Salvatores lanciò un concorso rivolto alle scuole per il soggetto del seguito. Era una bella idea: far scrivere agli adolescenti il film su un supereroe coetaneo. Ma era anche un modo per uscire da un mondo insopportabilmente autoreferenziale come quello del cinema per andare in cerca di idee fresche. Che poi era esattamente quello che aveva fatto con le musiche del primo film, reclutate attraverso un concorso per giovani musicisti che aveva visto tre vincitori, di cui una – la ternana Marialuna Cipolla – aveva portato al Ragazzo invisibile anche una candidatura al David di Donatello.

Invece, poi, non se ne è fatto niente:  questa volta né le musiche né la sceneggiatura arrivano dal basso: Salvatores e i suoi collaboratori hanno scelto di fare tutto da soli. Difficile da credere, però: perché a vedere questa Seconda generazione si direbbe che non solo il soggetto sia stato scritto da adolescenti – peraltro non particolarmente dotati – ma che gli stessi abbiamo fatto anche la sceneggiatura e che il regista non l’abbia nemmeno corretta. In qualche tratto sembrerebbe quasi che persino la regia, il premio Oscar, l’abbia messa in mano a un ragazzino senza esperienza.

Il secondo capitolo del Ragazzo invisibile è così brutto, puerile, ridicolo, imbarazzante, che si stenta a credere che sia stato diretto davvero da Gabriele Salvatores; che nella sua lunga carriera ha avuto alti e bassi, ma a certi livelli non ci era mai arrivato. Così come è impossibile accettare che questo copione scritto con i piedi sia uscito dalle stesse mani che hanno prodotto il primo capitolo, oltre che gioielli come La doppia ora e 1992.

Davvero viene da chiedersi con quanta malafede, quanto disprezzo nei confronti del  lavoro che sta svolgendo, un professionista può riuscire a tirare fuori un prodotto così ignobile?

Fabbri, Rampoldi e Sardo sono tre, proprio come gli sceneggiatori cialtroni raccontati in Boris, quelli che avevano memorizzato sul tasto F4 l’espressione “basito” e dettavano i copioni giocando a tennis o prendendo il sole sullo yacht. Non perché non sapessero scrivere – badate bene – ma perché non gliene fregava nulla di quello che stavano scrivendo. Io non riesco che a immaginarmeli così, questi tre giovani sceneggiatori in carriera, magari con le mani e le teste occupate in progetti più “seri”, buttare giù in fretta e solo per soldi questa sceneggiatura piena di malvagi che vogliono distruggere il mondo senza motivo, di dialoghi improbabili, di facce basite ed effetti speciali caciaroni.

Era dai tempi di Jurassic Park Il mondo perduto che non si vedeva un tale scarto qualitativo tra prototipo e seguito scritti, diretti e prodotti dalle stesse persone. Ed è una cosa che non ti spieghi: perché se ci mette le mani qualcun altro, su un capolavoro d’autore, allora è anche normale che lo rovini, ma l’autodistruzione di un artista è una cosa difficile da accettare.

Eppure tanto era bello Il ragazzo invisibile quanto è brutto Seconda generazione.

Il ragazzo invisibile – pur se superato poi da Lo chiamavano Jeeg Robot – resta il primo supereroe italiano, il felice tentativo di conciliare il cinema d’autore con il blockbuster epico, e andava a pescare il meglio dell’immaginario super-eroistico, quello di Spider-Man, l’adolescente sfigato che si ritrova con un potere che non sa usare. Se l’opera evocava un grande classico del film di fantascienza allo stesso tempo rievocava anche i sogni della nostra infanzia, quello di poter essere invisibili, di avere poteri con cui combattere i bulli che ci tormentavano. Il tutto era raccontato da un cast in stato di grazia ed effetti speciali stupefacenti, tanto da farsi perdonare il finale barocco e caciarone.

Il dramma di questo seguito, è che è tutto – ma proprio tutto – come il finale del primo: abdicata qualsiasi velleità autoriale così come ogni forma di realismo, Seconda generazione si lancia da subito in un universo popolato da mutanti senza arte né parte e toglie al Ragazzo invisibile tutto ciò che aveva reso magico il primo capitolo: da Stella, la ragazzina di cui è innamorato il protagonista – qui ridotta ad insulsa comparsa – agli stessi effetti speciali, visto che di invisibilità se ne vede pochissima (!!!) e la scena viene abbandonata in mano a poteri assai meno suggestivi (le solite esplosioni, venti, pugni,  uomini forzuti, infilzamenti, per non parlare dei ridicolo sguardo di fuoco di Dario Cantarelli, per trent’anni attore feticcio di Nanni Moretti).
Persino il protagonista che tanto funzionava tre anni fa oggi, servito da una regia distratta e da battute inascoltabili, appare cane.

Salvatores ha già annunciato il terzo capitolo ma a questo punto – per quanto chi scrive adori i seguiti – non è una buona notizia. Resta il grande dilemma del perché sia stato fatto questo film così poco ispirato. La risposta la danno la miriade di sponsor e di sostenitori, a cominciare dal Ministero dei beni culturali, che non ha avuto ritegno – e non si sa su quali basi – a dichiarare questo film “di interesse culturale”.

D’altra parte questo è lo stato del cinema italiano: film bellissimi che non si riescono a fare perché non ci sono i soldi e film bruttissimi che vengono fatti solo perché ci sono i soldi. Qui, poi, ci sono anche i russi. Russi ovunque: nel cast e nella troupe; e che Salvatores da anni sta facendo affari con i russi lo si capiva già guardando i suoi ultimi due film. Peraltro,  i tempi che corrono, anche questa è una notizia abbastanza inquietante.

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