“Il mondo non è nostro”: intervista a Kofi Annan

di Maria De Falco Marotta ed Elisa Marotta

Negli ambienti dell’Onu, con sarcasmo, qualche anno fa Kofi Annan veniva chiamato “L’africano di servizio”, oppure “Lo stregone del Ghana”, essendo nato – come ormai tutti sanno – a Kumasi, una città impazzita per l’orgoglio di vantare un figlio il cui ritratto è venduto per le strade come il pane e di cui si parla al mercato, nelle stazioni di servizio, negli uffici.

Invece crediamo che le sue maniere cortesi, la sua voce di velluto, il saper riconoscere pubblicamente i suoi errori per gli insuccessi vergognosi (Bosnia e Ruanda) dell’Onu, il sostenere decisamente davanti alla maggioranza dei capi di stato nel settembre 2000, che l’intervento umanitario è un dovere internazionale, un imperativo morale e che considera la società civile un partner necessario dell’Onu, sono stati elementi valutati positivamente dal Comitato del Nobel di Oslo, per l’assegnazione di tale prestigioso premio a lui, e congiuntamente, all’Onu, per il lavoro svolto in favore della pace del mondo.

Aveva ben intuito le sue capacità Madeleine Albright (l’ex segretario di Stato americano) nel ’94, quando risolutamente si adoperò per privare l’egiziano Boutros Ghali di un ennesimo mandato per le sue manie  faraoniche e puntò energicamente sull’Africano nero, meno generale e più segretario che, allora, tutti consideravano “non nato per essere un capo di Stato”. Non era abbastanza famoso, né aveva solamente all’apparenza, la tendenza al comando.

Dal gennaio ’96, ricevuta la missione da Washington di riformare l’Onu, si avvia in quest’impresa e uno dei primi provvedimenti che adotta è di far pagare proprio agli americani la loro quota, non versata per il violento dissenso con Boutros Ghali, accusato di avere le mani bucate.

Le Nazioni Unite intendono dunque assumere un ruolo più attivo nella storia dei nostri anni?

“Da parte mia è quello che cercherò di fare. Desidero che si considerino le Nazioni Unite come un organismo vivo per il mantenimento della pace, la protezione dell’ambiente e dei minori. Nel 1998 si è celebrato il 50mo anniversario della convenzione dei Diritti Umani, ciò non deve costituire solamente una data storica, ma l’impegno di ognuno di noi perché ciascuno può essere vittima dell’intolleranza, può soffrire per la soppressione dei diritti umani. E’ necessario promuovere il concetto della santità della vita umana, in base al quale tutti gli uomini sono uguali. Se qualche voce è contraria, noi tutti insieme dobbiamo difendere il suo diritto”.

Già, ma come?

“Con la democrazia. La fiducia in essa resta molto forte, perché garantisce i diritti e le libertà individuali. In una società multiculturale come oggi è la nostra, il riconoscimento del diritto all’uguaglianza, per esempio, è un efficace principio unificante che aiuta a superare le differenze individuali che possono derivare dall’appartenenza a gruppi religiosi o sociali diversi e costruire una mentalità democratica condivisa”.

Signor Segretario, non le pare che attualmente il consenso democratico verso le istituzioni sia diminuito? Quali sono le cause?

“E’ un fatto generale. I cittadini non sembrano nutrire eccessiva fiducia nei loro leader politici, nei partiti, nei parlamenti. Le cause sono molteplici: la diversità culturale e religiosa, la mancanza di una vera passione per la politica che è discussione, incontro, dialogo, dialettica; la imperante mentalità consumistica”.

Il dio denaro pare avere di gran lunga il primo posto anche tra i giovani. Cosa si può fare?

“Non c’è dubbio che il ruolo preminente che ha assunto il denaro nella nostra società, ponga in pericolo l’impegno civile. La prevalenza della sua ricerca ad ogni costo, pone in crisi l’idea dell’uguaglianza politica dei cittadini. Tra i giovani non mancano coloro che mirano più in alto, che sono solidali con gli uomini e le donne della terra che hanno meno. A questi bisogna dare tutto il sostegno educativo, affinché sulla terra ci sia ancora la speranza di costruire un mondo migliore”.

Di fronte ai massacri compiuti in nazioni dimenticate dal potere, gli organismi internazionali mostrano una certa indifferenza. Lei ha già deplorato questo fatto, ma è sufficiente?

“Quanto sta succedendo in alcune zone del mondo, è motivo per me di grande preoccupazione. La violenza ha avuto un’escalation dai livelli orribili. Dobbiamo operare perché il dialogo e la tolleranza prevalgano sulla forza della violenza, in modo che i popoli possano riuscire a superare le difficoltà notevoli per costruire una società democratica che rispetti i diritti umani e le libertà fondamentali”.

In casi come questi, come possono intervenire le Nazioni Unite? 

“Queste situazioni sono state considerate per molto tempo come “affari interni”. E’ molto difficile per noi tutti far finta che questo non stia succedendo, fingere di non rendercene conto. E’ problematico per noi lasciare questi popoli semplicemente al loro destino e conservare il senso della civiltà. Vogliamo che essi sappiano che siamo interessati al loro destino. Sono certo che riusciremo a  trovare dei mezzi per incoraggiare le forze in causa a cessare la violenza, in ogni zona del mondo dove vengono violati i diritti umani”.

Vediamo con piacere che lei indossa una cravatta dell’Unicef. Che cosa sta proponendo in modo pratico, attivo, immediato, agli stati per migliorare la formazione e l’educazione dei giovani in un mondo dove la comunicazione è diventata globale?

“L’educazione è fondamentale. L’istruzione e l’educazione sono elementi chiave nella costruzione di una società sana e dinamica. Dobbiamo cercare di dare ai giovani valori che rendano la vita più significativa. L’istruzione, l’educazione, la sanità  sono punti essenziali del nostro progetto con i governi. Vogliamo garantire che i minori non vengano sfruttati ma protetti. Ho nominato un rappresentante speciale la cui responsabilità è quella di proteggere i bambini in zone di guerra. Babmini che vengono inviati sul fronte invece che a scuola. Bambini violati nel loro diritto a crescere e che non avranno assolutamente idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Per fortuna, molti stati hanno aderito al nostro progetto e controlleremo che non rimangano solamente documenti firmati”.

Nel cinema e alla TV vi è spesso violenza, conflitti, guerra.

“Non dobbiamo sottovalutare l’impatto, l’influenza che lo schermo ha nei confronti dell’educazione. Abbiamo visto quello che ha fatto la TV, creando, a volte, situazioni di crisi nei salotti delle famiglie. I film possono aiutare a crescere, e non solo espressamente le giovani generazioni, ma la popolazione nel suo complesso. Perché restiamo inerti? Perché non ci sentiamo toccati da questo problema? Quando si parla di interventi, si pensa spesso a quello militare che spetta alle Nazioni Unite, ma è importante anche la presa di posizione di un singolo giornale che denuncia apertamente le violazioni dei diritti dell’uomo. Questo è ugualmente apprezzabile”.

A proposito di intervento militare, quale altra mansione ha l’Onu nelle zone di guerra?

“Dopo il ritiro delle forze armate dalle zone di guerra rimane una forza di stabilizzazione, tale da garantire una certa sicurezza dell’ambiente. Ci sono duemila poliziotti disarmati nelle Nazioni Unite che svolgono un’opera veramente difficile e coraggiosa. Desidero ringraziare di cuore questi uomini e queste donne che vivono lontani da casa, senza armi e rischiando la loro stessa vita per migliorare la situazione in cui noi tutti viviamo. Il lavoro è pericoloso per tutti: per le forze di pace dell’Onu, per i volontari della Croce Rossa, per l’Unicef, per la Caritas e qualisasi altro organismo e persona che vuol difendere i diritti dei più vulnerabili, dei deboli che non possono fare le valige e scappare, come non possono fermare i conflitti. A tutti costoro, che si impegnano senza cercare pubblicità, lontani dai riflettori e dalle TV, va la mia più totale riconoscenza. Invito le giovani generazioni a non guardarsi vivere, ma a partecipare, con la loro creatività, la loro curiosità intellettuale, la forza e l’entusiasmo della loro giovinezza, le loro buone qualità a una costruzione più armoniosa del mondo”.

(tratta da Adesso n.26 – settembre 2002)

KOFI ANNAN (1938-2018)

Kofi Annan è nato a Kumasi, in Ghana, l’8 aprile 1938 da una famiglia di antica nobilità tribale e si diploma nel 1957, lo stesso anno in cui il suo paese ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna, si laurea a Ginevra perfezionandosi poi negli Stati Uniti.

Svolge la sua carriera completamente all’interno della burocrazia delle Nazioni Unite, in inizia a lavorare nel 1962, entrando nell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nel 1993 gli viene affidato l’incarico di responsabile delle missioni di pace. Dopo l’invasione irachena del Kuwait, viene mandato  dall’allora segretario generale Boutros Ghali in Iraq per negoziare il rimpatrio del personale Onu e contribuisce non poco a mediare la liberazione degli ostaggi occidentali. Successivamente è a capo della delegazione Onu che concorda con Baghdad l’applicazione della risoluzione “petrolio per cibo”.

Nel gennaio 1996 viene eletto segretario generale delle Nazioni Unite, diventando il primo africano nero a ricoprire questo incarico. Nel 2001 gli viene confermato l’incarico. Lo stesso anno gli viene assegnato – insieme all’Onu – il Premio Nobel per la pace.

Nel 2002 e 2003 si oppone con forza all’intervento armato in Afghanistan e in Iraq e nel 2006 viene designato come suo successore il sudcoreano Bang Ki-Moon, sostituito nel 2017 dal portoghese Antonio Guterres.

Nel 2012 gli viene affidato dall’Onu l’incarico di inviato speciale per la Siria.

Muore a Berna il 18 agosto 2018.

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