Il destino di un paese appeso a un selfie

di Arnaldo Casali

Salvini si è fatto un selfie durante i funerali di stato.
Vergogna a destra!

Non è vero, Salvini non si è fatto nessun selfie. E’ una bufala, un fotomontaggio, una foto vecchia.
Vergogna a sinistra!

Non è vero che non è vero che Salvini si è fatto il selfie: abbiamo le prove! C’è il video! Salvini si è davvero fatto un selfie durante i funerali di stato.
Vergogna a destra!

Se Salvini si è fatto il selfie ai funerali di Stato non si sa, ma di certo quindici anni fa Pecoraro Scanio si è fatto una risata ai funerali di Stato, quindi
vergogna a sinistra!

Va bene, è vero che Salvini si è fatto il selfie durante i funerali di Stato, però se lo è fatto con una disabile, quindi
un po’ meno di vergogna a destra!.

Sembra proprio che il destino dell’Italia sia appeso a un selfie; proprio come qualche settimana fa sembrava appeso a un lancio di uova contro un’atleta di origini nigeriane.

E nessuno che dica: chi se ne frega del selfie. Un Servitore dello Stato si giudica con ben altri criteri, non certo in base ai selfie.

E nessuno che dica che usare un selfie per delegittimare un avversario politico, strumentalizzando una tragedia, è ben più vergognoso che farsi un selfie a un funerale.

Avete osservato un minuto di silenzio per la tragedia di Genova. E subito dopo avete ricominciato a postare insulti a sinistra, insulti a destra, al governo, all’opposizione, alla famiglia Benetton, avete aderito a catene di Sant’Antonio per omologare la foto del profilo, vi siete improvvisati ingegneri edili pontificando sui ponti, vi siete commossi di fronte a lettere false scritte per le vittime, vi siete impegnati anche voi nella caccia al responsabile del disastro, vi siete indignati per chi nel frattempo stava a cena, avete commentato in diretta i funerali di Stato, vi siete sentiti in dovere di dire la vostra e il silenzio l’avete lasciato tutto in quel minuto.

D’altra parte ormai ci sentiamo quasi in dovere di dover commentare tutto, anche se non abbiamo niente da dire.
Siamo tutti medici, immunologi, geologi, critici cinematografici, ingegneri, politici, economisti, linguisti, giornalisti e ovviamente allenatori di calcio. Possiamo pontificare di tutto senza sapere di niente, perché nell’era dei social non c’è più alcuna differenza tra notizia e opinione, tra verità oggettiva e punto di vista. Facebook non è un gioco, non è un bar virtuale dove andare a cazzeggiare con gli amici, dove si può dire qualsiasi cosa senza doversene assumere la responsabilità. Facebook è un mezzo di comunicazione: esattamente come i giornali, la televisione, la radio. Con la differenza, che qui tutti possono esternare, tutti possono commentare, dare giudizi e fare informazione. E’ un mezzo che ci mette tutti sullo stesso piano: analfabeti e intellettuali, politici e sudditi, professionisti e dilettanti.

Questo significa che nel momento in cui scriviamo qualcosa qui dentro, dobbiamo assumercene la responsabilità: se dai una notizia falsa, stai facendo disinformazione e divulgazione di menzogne: non è un’opinione, è una cosa grave. Se insulti qualcuno puoi finire in tribunale, se ti metti in ridicolo, ne subirai le conseguenze.

Il problema è che i social network anziché responsabilizzare i semplici cittadini, hanno trasformato in bimbominkia anche i professionisti, i politici, i giornalisti, ma questa non è una scusante. Non puoi dire: “Siccome lo fanno gli altri lo faccio anche io, siccome insultano gli altri insulto anche io, siccome divulgano bufale gli altri allora lo faccio anche io”.

Mia nonna diceva sempre: chi ha più buonsenso lo adoperi.

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