IL SORRISO DI MANDELA

 

di Maria De Falco Marotta

Dicono che il sorriso di Mandela sia il più famoso del mondo. E si capisce. Da un uomo così che è stato in prigione per quasi trent’anni in nome dei diritti umani dei suoi compatrioti, che parla senza reticenze delle stragi dell’aids nel suo Sudafrica, che dà il suo numero di ex detenuto a Robben Island, il 46664 (A Long Walk to Freedom) al CD del  concerto tenuto al Greenpoint Stadium di Cape Town, organizzato per sensibilizzare il pubblico riguardo le problematiche legate all’Aids, che elegge Charlize Theron, di origini sudafricane, premio Oscar vinto come migliore attrice con il film “Monster”, ad “icona” del suo Paese, che, a 85 anni, accenna alle danze etniche del suo amato popolo sollevando in alto la Coppa dei Mondiali di calcio del 2010, i primi ospitati dal continente nero, assegnati dalla Fifa( il governo mondiale del football), che in Internet ha almeno 130 Siti che parlano di lui, che corre, infaticabile, in ogni luogo del mondo( anche a Venezia, nel 2001, ospite della Telecom al Luna Baglioni, dove poi gli è stata data la cittadinanza onoraria della città) per sfatare i pregiudizi sul colossale melting polt della sua diletta Country, che, pur fiero e regale, memore della sua alta pratica del rispetto della dignità umana non disdegna di rispondere a chiunque, quando la gente l’opprime col suo affetto e vuol sentire, dalla sua viva voce:

Presidente che cos’è la libertà, lei che in suo nome ha patito tanto?

E’ una fiamma che nessuno può spegnere. In tutto il mondo ci sono uomini e donne che la faranno sempre ardere. Anche a costo della vita.

Il nuovo secolo è cominciato da poco, come si augura che sia?

Purtroppo, nel mondo vi è ancora troppa  gente che langue in povertà, schiava della fame, dell’intolleranza e dell’ignoranza. Spererei che, con la buona volontà di tutti, finissero  gli abusi e le ingiustizie sui bambini e sulle donne e che  il disinteresse verso i miseri  rimanga  un brutto fenomeno del XX secolo.

Lei è considerato un campione dei Diritti umani. Le Nazioni Unite proclamarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel 1948, mentre nel suo Paese, in quello stesso anno, il Partito Nazionale conquistò il potere e con l’etichetta di apartheid, iniziò a fare del razzismo una “Legge”. Cosa provò, allora?

La Dichiarazione ottenne una vastissima pubblicità, soprattutto se si ha presente la politica sudafricana, perché il Governo del partito nazionale salì al potere solo tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, una guerra che si sviluppò per distruggere il dispotismo e che accese le speranze del popolo nero – principalmente in questo paese – la cui partecipazione nella lotta contro un male che evidenzia la superiorità razziale, insieme alle atrocità impiegate contro gli ebrei, dovevano apportare cambiamenti nella nostra nazione. Era un’epoca di decolonizzazione e, di conseguenza, le aspettative erano molto forti. La Dichiarazione ci arrivò con quei precedenti e, soprattutto, per il contributo dell’India. Grazie al suo intervento abbiamo conosciuto la Dichiarazione. Però mentre il mondo avanzava verso una nuova organizzazione nella quale i fattori etnici avrebbero avuto meno importanza e le persone sarebbero state trattate tutte con equanimità, il Sudafrica retrocedeva e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si tramutò in una sorta di Bibbia che nominavamo per condannare la politica dell’apartheid.

Però all’inizio del suo “cammino politico” (fine degli anni quaranta, quando apparteneva al movimento giovanile, era conosciuto per avere una posizione molto “africanista”), fu   assolutamente contrario all’idea che chi non fosse africano potesse partecipare alla lotta di liberazione. Non pensa che così era  in contraddizione con i principi della Dichiarazione stessa?

Ciò fu dovuto a immaturità politica. Si pensava che la superiorità della  comunità indiana, formata da persone con capacità assolutamente incredibili, potessero inglobarci e assumere il comando rendendoci , noi poveri sudafricani,“invisibili”. Nello stesso tempo,  avevo contatti con illustri intellettuali indiani, con i quali sostenni fitti dialoghi. Ben presto mi resi conto che mi stavo sbagliando, perché l’importante non era il colore di un uomo, bensì gli ideali che questo difendeva. Essi  si rivolgevano ad ogni persona come individuo, e gli dicevano: “… Lottiamo contro l’oppressione razziale. Perché dobbiamo lottare fra di noi? Cos’hai contro di noi? Ne fui convinto. Mi resi conto che la mia opinione era sbagliata e fui obbligato a parlare con i membri della mia organizzazione per dire loro che c’era da rivedere la nostra posizione. Cosa che abbiamo fatto, non senza conflitti e polemiche che poi nel tempo si sono appianate.

Presidente, in un periodo della sua vita ha avuto molto tempo per leggere, durante i 27 anni che ha passato in carcere. Si sa che Lei è un appassionato di storia. Dove collocherebbe l’apartheid nella scala delle atrocità del XX Secolo?

Ad esclusione delle atrocità commesse contro gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, non c’è altro crimine, nel  mondo, che sia stato condannato all’unanimità come l’apartheid. La cosa peggiore è che una minoranza decise di sopprimere la stragrande maggioranza del paese, utilizzando  il nome di Dio per giustificare le nefandezze commesse.

Lei pensa che le violazioni dei diritti umani commesse dall’apartheid siano stati più terribili di quelle sofferte nei paesi latinoamericani, come il Cile, il Salvador e l’Argentina?

Durante la Commissione della Verità e Riconciliazione abbiamo ascoltato cose tremende. Abbiamo riesumato tombe nelle quali c’erano i cadaveri di persone assassinate solo perché avevano osato affrontare la superiorità dei bianchi ; uomini, donne, bambini, anziani. Le efferatezze che vennero commesse qui contro le persone innocenti,  sono state  qualcosa di terribile, e questo non è altro che una parte di storia. Troppa gente ha sofferto e ci sono state occasioni nelle quali l’aggressione fisica non è stata così grave quanto l’oppressione psicologica sofferta dalla popolazione nera durante l’apartheid. E’ una tortura psicologica impossibile da descrivere a parole.

L’arcivescovo Desmond Tutu, anche lui premio Nobel per la pace come Lei,  ha posto in risalto i valori della trasparenza e della purezza che contraddistinguono la Commissione della Verità e della Riconciliazione. E’ qualcosa che ha stupito il mondo intero. Come interpreta Lei questo? Come giudica  il processo di “pulizia” che è riuscita a portare a termine,  la CVR?

Secondo me la guarigione del Sudafrica è stata come un processo, lungo, doloroso, memorabile dalla nostra storia. La commissione ha contribuito magnificamente a questo,  perché adesso le famiglie delle vittime delle crudeltà conoscono quello che è realmente accaduto ai propri cari. Alcuni di loro sono stati capaci di ascoltare le confessioni degli agenti dell’apartheid e hanno risposto che li perdonano. Naturalmente, ci sono altri che hanno così tanta amarezza, che impedisce loro di dimenticare il dolore per aver perso coloro che amavano. Credo che, in generale, la Commissione abbia svolto un lavoro straordinario, aiutandoci ad allontanarci dal passato, per concentrarci sul presente e sul futuro e il vescovo Tutu ha realizzato un lavoro quasi inconcepibile, dalla mente umana, nonostante le molte  imperfezioni della CVR.

Molte persone nel  mondo, credono che come ha detto Lei, il documento della Commissione sia splendido. Specie se in tempi come questi, si parla di perdono, di ubuntu. Ci dice cosa sono?

Il perdono è coscienza dell’altro, comprensione delle differenze, ammissione di colpa, bisogno di andare oltre. Solo dal perdono nasce l’amore. È questo è il senso vero dell’ubuntu, una filosofia così radicata nell’animo dei neri africani. Anche in Sudafrica.

Però nel mio Paese tutti quelli che desiderano il perdono, devono sollecitarlo individualmente.

La Commissione della Verità e della Riconciliazione ha proposto di citare a giudizio coloro che non si sono presentati a dichiarare né il male subito né quello fatto. Le realtà politiche non rendono più complicato il lavoro della Giustizia?
Quando eravamo un movimento che lottava per la liberazione, tutto quello che avevamo da fare era riuscire a mobilitare le masse del nostro paese e concentrare le nostre forze contro la supremazia bianca. Invece da quando siamo governo abbiamo una costituzione che sancisce il dominio della legge e tutti quanti sono soggetti ad essa.
Non solo questo: abbiamo adottato misure che garantiscono questa costituzione perchè non rimanga un semplice foglio scritto capace di rompersi in qualsiasi momento. L’ abbiamo trasformata in un documento vivo.
Poi abbiamo creato strutture che fanno sì che anche il governo sia legato alla costituzione e non agisca a suo piacimento. Disponiamo di un difensore pubblico, difensore del popolo, al quale può accedere qualsiasi cittadino offeso, per lamentarsi e cercare giustizia. Abbiamo una Commissione per i Diritti Umani, formata dai sudafricani più noti e, soprattutto, abbiamo il Tribunale Costituzionale, che ha annullato, per esempio, azioni del governo. Bisogna obbedire alle istituzioni che abbiamo creato. La Commissione della Verità e della Riconciliazione è un’istituzione molto rispettata, gli uomini e le donne dai quali è composta hanno svolto un lavoro splendido, in circostanze difficili e per questo, secondo me, dobbiamo rispettare tutti, senza eccezioni, per quello che ha fatto per il paese.

Si dice che il Sudafrica abbia una politica estera guidata dall’etica e vincolata alla Dichiarazione Universale. Però, a volte, le ragioni del commercio e gli scambi esteri, fanno chiudere un occhio sui diritti umani. Cosa ne pensa?

Nessun “guerriero per la libertà” (che afferma di avere principi morali) che abbia ottenuto, in momenti di difficoltà, l’aiuto di qualche paese sarebbe capace, alla vigilia della vittoria di dimenticarsi di quegli alleati, seguendo il consiglio di coloro che aiutarono il nemico.  I miei amici sono miei amici, sia quando sono impegnato nella lotta per la libertà che quando mi trovo al governo. Ho dei principi e non abbandono i miei amici, solo perché grazie al loro aiuto ho vinto la battaglia e adesso mi trovo al governo. Non li abbandono, solo perché alcuni sudafricani di un’altra “schiera” considerano che adesso non dovrei più mantenere relazioni con paesi che, al momento, non sono più graditi. Non presto loro attenzione, le relazioni estere si reggono per la storia comune con ogni paese, nel passato e nel presente.

Quando Lei uscì dal carcere, la Repubblica Sudafricana come gli Stati Uniti erano fra i paesi con un il maggior numero di esecuzioni legali. Quando divenne presidente, una delle prime cose che fece fu abolire la pena di morte. L’ indice di criminalità che esiste in Sudafrica, induce molte persone che asseriscono, fra le proteste, che bisognerebbe ripristinarla per combattere il crimine con più efficacia. Potrebbe dirci qual’è la sua posizione?

Sono contrario alla pena di morte, perché è un riflesso dell’istinto animale che continua ad essere presente negli esseri umani. Non ci sono prove che la pena capitale abbia fatto diminuire l’indice di delinquenza in nessun posto. Quello che lo fa abbassare è che i criminali sentano dire che se commettono un delitto, finiranno in carcere. In altre parole, quello che serve è un sistema politico efficace, capace di scoprire il crimine. Per questo abbiamo adottato misure per migliorare la capacità della nostra polizia. La pena di morte non è la risposta, la risposta è migliorare la tenuta del governo. In Sudafrica la pena di morte si è utilizzata come pretesto per assassinare e si è applicata soprattutto nei confronti dei neri. I bianchi non la subivano quasi mai. Questa è la tradizione del paese, ma è un’usanza che abbiamo già lasciato dietro di noi  e che nessuno riprenderà.

 

 

 

 

 

 

 

 

(da Adesso.33 – inverno 2004)

MANDELA, IL SUD AFRICA, L’APARTHEID – leggi il dossier

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