I CRISTIANI DA SALOTTO CONTRO LA CHIESA DEI POVERI

di Mario Pancera

«La chiesa per essere davvero, e non solo a parole, la chiesa dei poveri, deve partecipare concretamente alle  loro lotte, deve fare una scelta di classe», diceva l’ex sacerdote, ma sempre credente, Giulio Girardi. Filosofo e teologo, Girardi (Il Cairo 1926-Roma 2012) era un salesiano, ha partecipato al Concilio Vaticano secondo, esperto di ateismo, era stato anche lodato Paolo VI; ha insegnato nella Facoltà filosofica salesiana di Roma, alla Catho di Parigi, a Lumen gentium di Bruxelles: è stato praticamente cacciato da tutti gli istituti. È stato alla fine sospeso a divinis. Perché? Era convinto che cristianesimo e marxismo potessero trovare qualche punto d’accordo nell’interesse delle classi più povere, le oppresse.

Papa Francesco parla spesso dei poveri e della chiesa dei poveri: non si può essere  cristiani da salotto, spiega. E quel «salotto» è più che un ammonimento: i cristiani da salotto sono atei. Non parlano, certo, di condurre lotte di classe tra poveri e ricchi, ma queste lotte di classe le vivono. Forse non se ne accorgono. Anzi, proprio le fanno. In senso contrario a quanto sosteneva Girardi: con il loro comportamento i cristiani da salotto combattono una lotta di classe, quella dei ricchi contro i poveri o, se si preferiscono termini politici, del capitalismo contro il proletariato. Vanno a messa tutte le domeniche e le feste comandate, si accostano alla comunione e fanno la carità. Tengono in vita quella classe che, in concreto, li mantiene in vita.

Come mettere insieme fede e ateismo marxista? Su questi argomenti Girardi ha tenuto conferenze, lezioni, scritto libri. Era un uomo di pace: ha fatto pure parte del Tribunale Russell II. Ha esplorato i movimenti rivoluzionari dell’America latina, negli anni in cui, per esempio, in Cile dominava Pinochet, e a Cuba combattevano Castro e Guevara. Ha, insomma, vissuto, da intellettuale «dentro» le rivoluzioni dei poveri che, volere o no, si richiamavano insieme al Vangelo e a Marx. Ed ecco il perché della sua formazione e dei suoi intendimenti. È stato uno dei maggiori esponenti della cosiddetta Teologia della liberazione e, ovviamente, dei Cristiani per il socialismo.

Sembra medioevo, ma i poveri ci sono ancora, le guerre per il potere si spostano qua e là sul globo, le lotte di classe continuano anche se non se ne parla: basta guardarsi in giro e si vedono i vincenti e i perdenti. I primi hanno sempre più denaro, i secondi sempre più miseria. Giulio Girardi potrebbe riprendere oggi le sue lezioni di ieri: non è cambiato nulla. E ancora verrebbe allontanato dalle autorità ecclesiastiche. Troverebbe nemici, nonostante papa Francesco, che viene dall’altra parte del mondo e, senza dubbio, è assai attento ai problemi della povertà.

La parola povertà è astratta, è sempre meglio dire: i poveri, i poveri si contano, si vedono. E ci sono poveri così poveri che non li vuole nessuno, nemmeno gli eventuali marxisti rimasti nell’arena sociale e politica: sono i sottoproletari. I sottoproletari non sanno quello che fanno, non sanno parlare, non sanno scrivere, non si sanno spiegare: urlano, chiedono, vogliono. Sono i miserabili, non li vuole nessuno. Uomini o donne, bianchi, neri, mulatti. Vengono usati, sfruttati, buttati via: in Italia, in Russia, in Cina, in Africa, nelle Americhe. Constatazione comune, senza possibilità di equivoci. E cosa fa la chiesa cattolica? Domanda comune, con mille risposte. «La chiesa, se vuole essere la chiesa dei poveri, deve fare una scelta di classe», così ripete oggi, dall’eternità, padre Girardi.

Una voce dal cortile: «Oggi un papa va nelle favelas di Rio de Janeiro…»
Seconda voce: «E la chiesa?»
Terza voce: «Speriamo che venda la tomba d’oro di padre Pio».

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