GENOVA DIECI ANNI DOPO

di Sara Costanzi

Le mie riflessioni e considerazioni in merito al G8 di Genova del 2001 sono personali e soggettive, non potrebbero essere altrimenti perché sono italiana, sono giovane, sono madre.

Era l’estate dei miei quindici anni quando mi giunse la notizia che Carlo Giuliani era stato ucciso. Sapevo cosa fosse un G8, sapevo che ci sarebbero state manifestazioni. Ignoravo completamente cosa fossero i no-global o il popolo di Seattle, anche se a orecchio provavo un’istintiva simpatia per chiunque fosse di Seattle perché i Nirvana erano i miei sfonda timpani preferiti in quel periodo. Come ogni adolescente che si rispetti mi veniva l’orticaria a ogni telegiornale e con nonchalance mi giustificavo-Mi deprime-. Una tranquilla sera d’estate , me ne stavo a godermi lo spettacolo dei miei amici ventenni che si esibivano a un festival rock in una scompaginata cover di Smeel like teen spirit e: -E’ successo un gran casino, qui scoppia la guerra!- arrivava gente e tutti a parlare di Carlo Giuliani e del G8. Chi dava la colpa ai no-global che perché c’erano andati e chi agli sbirri che ne hanno fatta una troppo grossa stavolta. Preoccupazione, fastidio. La sera me ne tornai a casa con l’indifferenza lievemente turbata, niente di più. Ma intorno a me non si parlava d’altro e così l’occhio sul tg ce l’ho buttato anch’io. Ho visto: una pozza di sangue, un ragazzo morto in mezzo alla strada, gente che urlava, fumo, grida. Una pozza di sangue. Una pozza di sangue. Sangue di uno che poteva tranquillamente essere un mio amico e che magari ascoltava pure i Nirvana. E in quella pozza di sangue si è sciolto il mio beota Teen Spirit. Perché prima o poi arriva sempre un grande, traumatico evento che ci corrompe e squarcia l’ingenuità che ci nutre.  Carlo Giuliani ucciso da un celerino è stato il mio.

Ho studiato l’albero genealogico del movimento no-global, ho quasi imparato a memoria No-logo di Naomi Klein, sono diventata vegetariana, ho tolto il collare al mio cane, ho preso le difese di Carlo Giuliani e dei suoi genitori ogni volta che ne ho avuto l’occasione. Quando ho conosciuto il mio attuale marito e mi ha raccontato che aveva partecipato all’incontro col padre di Carlo, qui a Terni, me ne sono innamorata ancora di più. Tutto ciò perché mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché sono italiana, sono giovane, sono madre. Come italiana posso dissociarmi ma sempre italiana resto; come giovane condivido la rabbia di chi c’era ed è stato preso a manganellate o torturato alla Diaz; come madre ho terribilmente paura.
Nessuno tollera che venga fatto del male a un bambino ma Carlo Giuliani non è l’unico ventenne ucciso da chi normalmente li difende i bambini. I bambini crescono, acquistano una loro coscienza che magari neanche condividiamo, fanno i cortei, manifestano e poi, misteriosamente, accade anche che vengano uccisi.

Nessuna madre può tollerare solo il pensiero che qualcuno faccia del male al proprio figlio, piccolo o grande che sia. Possibile che dovrò crescere mio figlio dicendogli che manifestare è sbagliato? Che, al pari delle dita nella presa, ci si resta secchi?
In fondo è la nostra stessa Costituzione che ci dice che viviamo in Paese libero e che la libertà d’espressione è tutelata dalla legge. Libertà da tutte le parti che in quanto popolo sovrano ci spetta di diritto. Allora non solo mi sento in colpa ogni volta che ripenso al G8 di Genova, mi sento anche presa in giro, per nulla tutelata e profondamente imbarazzata perché educo mio figlio ai più alti valori civici che però, è il caso di dirlo, meglio viverli nel privato, in riservatezza. Neanche fosse la collezione dei denti da latte, che ci si è affezionati, si è orgogliosi di averla, ma mica la vorrai mostrare a qualcuno? E’ fuori luogo, indelicato.

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