FARE LA GUERRA CREA POSTI DI LAVORO

È un terremoto sociale. Ma purtroppo sembra  il «liberismo» di molti governi: distruggete, poi ricostruiamo.

 di Mario Pancera

La Repubblica italiana non è fondata sul lavoro, ma sulla guerra. Non lo vedo soltanto io, lo dicono anche altri, da tempo. Il lavoro manca, i soldi per la cosiddetta Difesa si trovano. Miliardi in aerei, sommergibili, soldati, bombe. Strumenti di morte. L’attuale premier, il senatore Mario Monti, prospetta una legislatura costituente dopo le elezioni politiche di febbraio. Era ed è così anche per il suo predecessore, onorevole Silvio Berlusconi, oggi suo acerrimo antagonista nella corsa per la guida del prossimo governo. Entrambi sono liberisti, entrambi vogliono vendere parti delle proprietà dello Stato (cioè di tutti) ai privati, entrambi sono per la spietatezza della libera (libera!) concorrenza: entrambi vogliono modificare la Costituzione, che è un nobile documento di pace, nato appunto sulle macerie di una guerra mondiale.

La guerra è un terremoto sociale: distrugge tutto, materia e spirito. La notte del 6 aprile 2009 un imprenditore edile informato da un collega del terremoto che aveva appena finito di far crollare l’Aquila e una cinquantina di paesi dell’Abruzzo, si mise a ridere: spiegò che pensava ai miliardi che avrebbe guadagnato con la ricostruzione. Non gliene importava nulla dei morti, della miseria dei rimasti, dei feriti, del dolore. Gli interessavano i soldi che avrebbe guadagnato a palate con i traffici della ricostruzione materiale della città e dell’Abruzzo disastrato. I mass media parlarono quasi subito di mafia. Il giorno dopo, i giornali affermavano: «Il giro di denaro intorno a una tragedia di queste dimensioni è immane: equivale al costo di una guerra…».

I fabbricanti di armi (i proprietari di tutte le grandi società, delle banche, dei giornali, delle compagnie commerciali sono praticamente tutti azionisti di industrie produttrici di materiali bellici) possono ridere tutte le notti. Più guerre, più soldi con la «ricostruzione». Infatti le alimentano con i loro prodotti. Ci sono guerre in quasi tutte le parti del mondo. Vengono chiamate anche guerre di liberazione, di religione, guerre civili, di difesa o altro. Gli eserciti sono detti regolari o governativi o lealisti oppure partigiani, patriottici, tribali, terroristici, banditeschi e via dicendo. Per entrare in guerra, sono state inventate anche le «missioni di pace».

Alla tv si vedono case distrutte, montagne di pietrame, ferri, calcinacci, folle vocianti che trasportano di corsa uomini e donne feriti, sangue, barelle, bare. Si mandano i droni a uccidere anche i sospetti (tutte notizie tratte dalla stampa). Circa 80 mila morti in Siria: si uccidono tra di loro. Il caso più recente è il Mali, terra di petrolio, uranio, fosfati, dove pure gli islamici si uccidono tra loro e  aspettano gli occidentali. Carestia nel Sahel: milioni e milioni di persone non hanno da mangiare. Muoiono. Ci sono anche centinaia di suicidi tra i soldati veterani occidentali. Però ci sono i soldi per le armi. Molti paesi scalpitano per partecipare alla mattanza. Si parla di futura ricostruzione, di nuovi «piani Marshall», come dopo la seconda guerra mondiale in Europa, cioè di offrire denaro ai sopravissuti per riaverlo decuplicato in pochi anni. Ecco trovato il metodo per dare posti di lavoro, ed essere anche ringraziati. Ma non c’è un piano Marshall per resuscitare i morti. 

Parlando dei morti, i mass media tendono sempre a mettere in risalto anche il numero delle donne e dei bambini, per catturare l’emotività del pubblico, come se gli altri, maschi adulti e vecchi, non contassero quasi niente. Cioè, vien fatto di capire: contano i numeri e le emozioni esteriori. L’uomo, per intenderci l’Uomo, l’umanità dell’individuo, la sua divina creazione (per chi crede) non viene nemmeno preso in considerazione. In questo stato è ridotta oggi la ragione: vale il denaro, non l’uomo. Si sapeva, ma i commenti ai disastri della guerra presentano un Duemila uguale al Medioevo. Le statistiche del 2012 dicono che i ceti bassi e mediobassi si impoveriscono ovunque sempre più, i ricchi diventano sempre più ricchi. «Che fare?». Creare mille Sirie o Somalie o Mali.

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