Claudia Gerini è la prima a raccontare la pandemia

di Arnaldo Casali

Sono andato a vedere Tapirulan, esordio alla regia di Claudia Gerini, per Maurizio Lombardi. E non sono rimasto deluso, perché la sua è senza dubbio l’interpretazione di migliore di questo film insolito, originale, sperimentale nello stile ma assai meno nella sceneggiatura. Basti dire che Lombardi, come quasi tutti gli altri attori, recita esclusivamente da dietro lo schermo di un telefonino.

Il 99% del film è interpretato dal “vivo” dalla sola Claudia Gerini, sempre sola, sempre in casa, che corre compulsivamente sul un tapis roulant parlando con gli altri personaggi attraverso uno schermo.

In questo il film è davvero geniale, sperimentale e molto claustrofobico, perché la vita “vera” rimane sempre dietro le grandi finestre dell’appartamento della protagonista, che osserva il mondo fuori come un animale in gabbia.

Perché lei, Emma, non esce mai di casa e passa tutto il giorno a correre e a lavorare, a lavorare correndo e correre lavorando. Il suo lavoro è la “e-counselor”: una sorta di telefono amico: gente con problemi la chiama attraverso un app, e lei – senza scendere dal tapis roulant – dispensa consigli.

All’estrema originalità dello stile narrativo, corrisponde – purtroppo – un’altrettanto estrema banalità della sceneggiatura.

I clienti (o pazienti) di Emma sono infatti un campionario di problematiche sociali da manuale, così come il vissuto drammatico della protagonista.

Così la sceneggiatura si trasforma in un polpettone retorico che non si fa mancare nulla: dalla violenza domestica all’incesto, dall’omicidio stradale alla tragedia famigliare, dal femminicidio all’omofobia. Manca solo il razzismo e l’abilismo per completare il quadro dei mali del mondo contemporaneo che la protagonista si trova a curare.

Il mestiere stesso di Emma, poi, si presta a fare dei dialoghi un concentrato di retorica e frasi fatte e va detto che, con poche eccezioni come lo stesso Lombardi, le interpretazioni sono quasi sempre teatrali, affettate, fasulle. Qualcuno ha scritto che – vista anche la formula scenica con cui vengono presentati – sembrano provini più che dialoghi autentici.

Ed è un peccato perché il film resta un prodotto innovativo e completamente fuori dagli schemi. Con una mano più ferma nella regia e nella sceneggiatura e un pizzico di ironia sarebbe stato senza dubbio più credibile.

Resta anche il primo esempio di cinema post pandemia. Non solo per il soggetto stesso (lo “smartworking” di una donna reclusa in casa), e per la citazione esplicita del Covid, ma perché è anche la prima volta che un film ci mostra persone che indossano la mascherina nei luoghi pubblici. Dettaglio che rende l’opera (in quei pochi minuti in cui è ambientato al di fuori dell’appartamento) tanto più preziosa.

La rimozione del Covid dal cinema e dalla televisione è infatti qualcosa su cui bisognerà, prima o poi, parlare.

In oltre due anni grande e piccolo schermo non hanno infatti mai voluto o saputo raccontare quello che il mondo stava vivendo.

Mentre i programmi di informazione e i talk show non parlavano d’altro, nella fiction la pandemia non è mai entrata.

Negli ultimi due anni le mascherine, nei film, le abbiamo viste solo nei backstage: dal 2020 al 2022 sono stati prodotti moltissimi film e serie televisive, ma sono tutte storie ambientate nel passato o in un ipotetico futuro, ma mai nel nostro presente.

Per paradosso, qualche film ha raccontato un presente distopico, in cui la pandemia non c’era: basti pensare ad “Altri padri” di Mario Sesti, dove si legge nel calendario “novembre 2020” ma nessuna mascherina fa mai capolino in scena.

Ad oggi gli unici ad aver preso di petto la tragedia sono stati i produttori di “Doc”. E ci sarebbe mancato altro: il personaggio reale a cui è ispirato il protagonista lavorava proprio all’ospedale di Codogno, le riprese della prima serie del telefilm erano state interrotte dalla pandemia, e le prime puntate erano andate in onda durante il lockdown.

Eppure anche “Doc” ha fatto il lavoro a metà, raccontando – nella seconda serie – la pandemia come un episodio in fondo breve, finita in pochi mesi e di cui si parla già al passato. Forse perché quello era l’auspicio quando la serie è stata scritta e girata. Ma di fatto nemmeno “Doc” ha raccontato la verità. Claudia Gerini, invece, a modo suo lo ha fatto. Ed è un grande merito.

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