BELFAST, UCRAINA

di Arnaldo Casali 

Belfast di Kenneth Branagh non solo è il film ideale per celebrare la festa di San Patrizio, ma è anche utile per capire quello che sta succedendo in Ucraina.

IL FILM
Al netto della retorica, delle fuberbate, delle trovate, degli ammiccamenti, e di tutte le critiche che si possono fare (e che sono state già fatte), “Belfast” è un film bello, intenso, a tratti anche straziante perché più che un ritorno alle origini rappresenta l’atto d’amore alla sua terra fatto, a sessant’anni e dopo quarant’anni di carriera, da un rinnegato.
Perché parliamoci chiaro: per il regista di Thor e Cenerentola il ritorno alle origini è Assassinio sul Nilo, non Belfast.
Gli irlandesi sono un popolo così fiero e orgoglioso che li trovi in tutto il mondo e li riconosci subito: basti pensare a registi come Jim Sheridan e Neil Jordan o ad attori come Liam Neeson e Pierce Brosnan.
Kenneth Branagh, invece, è addirittura il più inglese dei registi di Hollywood: ha dedicato metà della sua carriera a William Shakespeare e ha attraversato tutti i grandi classici della letteratura britannica, da Frankenstein a Harry Potter.
In Irlanda Branagh c’è nato, e poi ha passato la giovinezza a cercare di nascondere di esserci nato, liberandosi a forza dell’accento per non essere oggetto bullismo e farsi accettare dal grande teatro inglese, fino a diventare la più grande bandiera cinematografica della Gran Bretagna. Per questo sincero e toccante è questo ritratto della Belfast del 1969, preda degli scontri tra cattolici e protestanti, con deliziose auto-citazioni (come quado il piccolo Buddy/Ken legge il fumetto di Thor o quando con la famiglia parlano dell’Inghilterra come di un posto dove “parlano una lingua incomprensibile”).
Il film è ambientato in quartiere protestante dove viene perseguitata la minoranza cattolica. La famiglia del protagonista è protestante ma si ribella alle persecuzioni scontrandosi con i fanatici e lo stesso Buddy è innamorato di una ragazzina cattolica. La grande storia resta però sullo sfondo rispetto alle vicissitudini personali dei protagonisti.
IRLANDA E INGHILTERRA COME UCRAINA E RUSSIA
Tutti si chiedono perché la Russia voglia l’Ucraina. Anzi, no, mi correggo: la gran parte sostiene che Putin sia impazzito a causa del Covid e voglia conquistare il mondo. Ma gli analisti più lucidi si chiedono perché la Russia voglia l’Ucraina.
Io, invece, mi chiedo perché l’Ucraina non vuole la Russia.
Russi e ucraini, lo sappiamo, sono popoli fratelli: la Russia, di fatto, nasce in Ucraina, il Patriarcato di Mosca ha origine a Kiev, tra i più grandi scrittori russi ci sono ucraini come Gogol.
In Ucraina il russo è molto più diffuso dell’ucraino: lo stesso Zelensky ha imparato recentemente l’ucraino e tuttora lo parla male e molti dei militanti ucraini intervistati in questi giorni ammettono di essere di madrelingua russa.
Come può il nazionalismo imporre una lingua che, di fatto, non appartiene al popolo che la usa come un’arma?
Ebbene, Belfast aiuta a capirlo.
Qualche giorno fa un’amica ucraina mi ha detto che non è l’Ucraina a volersi separare dalla Russia, ma è la Russia ad essersi separata dall’Ucraina e che se Gogol scriveva in russo era perché se avesse scritto in ucraino nessuno lo avrebbe pubblicato.
Insomma, l’Ucraina ha un’identità forte ma oppressa da secoli dai russi. Il russo non è quindi una lingua madre ma matrigna. La cultura russa scorre nelle vene degli ucraini ma al tempo stesso è la cultura dell’oppressore. La stessa chiesa ucraina è più antica di quella russa ed è Mosca ad essere scismatica, non Kiev.
La storia non sembra molto diversa da quella dell’Irlanda.
Come la cultura ucraina è stata oppressa per secoli dall’impero russo, quella irlandese è stata oppressa per secoli dall’impero britannico.
In Irlanda la lingua che tutti parlano è l’inglese. Letteratura, cinema, musica parlano inglese. Addirittura, dopo la Brexit se l’inglese è rimasto lingua ufficiale dell’Unione Europea è solo grazie all’Irlanda.
Eppure la Repubblica d’Irlanda ha scelto come lingua ufficiale l’irlandese. Tutti i cartelli stradali, in Irlanda, sono scritti in due lingue. Lo stesso nome ufficiale del paese è Eire e non Ireland. Eppure l’irlandese non lo parla praticamente nessuno, in Irlanda. Non rappresenta una minoranza linguistica ma un oroglio nazionalista: è una lingua che è stata imposta in modo artificioso quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, dopo una feroce guerra civile.
Eppure, eppure i rinnegati sono gli inglesi: perché l’origine degli inglesi è celtica come quella degli irlandesi, la lingua dei britannici era il gaelico come quella degli irlandesi, la religione degli inglesi era il cattolicesimo.
Sono gli inglesi ad essersi imbastarditi mescolandosi con i germanici e i francesi, sono gli inglesi che hanno rinnegato il cattolicesimo diventando protestanti.
Insomma, non è l’Irlanda ad essersi separata dall’Inghilterra: è l’Inghilterra ad essersi separat adall’Iralnda, come la Russia si è separata dall’Ucraina. E chi si separa, poi, mescolandosi ad altre culture diventa più grande e potente (si pensi agli Stati Uniti, o all’impero romano).
Come in Irlanda, anche in Ucraina a creare i problemi sono le zone ibride, contese tra due culture e due nazioni: l’Irlanda del Nord a ovest, il Donbass e la Crimea ad est.
E se in Ucraina ci sono i battaglioni nazisti, in Irlanda ci sono le organizzazioni terroriste.
La grande differenza è che l’impero inglese è sempre stato dalla parte dei “buoni” e quello russo da quella dei “cattivi”. E se a difendere la causa irlandese, per decenni, sono stati solo pochi idealisti dissidenti (così come per la Palestina) oggi tutto l’Occidente si è schierato senza se e senza ma contro la Russia.
Se però continuiamo a guardare in Irlanda, oggi troviamo un paese libero e pacificato, che continua a intrattenere fortissimi rapporti politici, commerciali, culturali con il suo ex oppressore, e dopo decenni anche in quelle zone contese si è raggiunta la pace.
Gli irlandesi non hanno preso Belfast, gli inglesi non si sono ripresi l’Irlanda. Le tensioni ancora ci sono e ogni tanto esplodono, ma di fatto la pace è stata raggiunta. Ed è stata raggiunta con un negoziato, con degli accordi, con delle trattative. Non perché uno ha vinto e l’altro ha perso, non perché il presidente oppresso o quello oppressore siano stati fatti fuori.

Per questo bisognerebbe piantarla con questa assurda e becera propaganda bellica e ricordarsi che con la guerra perde anche chi vince, e con la pace vince anche chi perde.

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