Permette? Alberto Sordi

L’ultimo film che ho visto al cinema, prima del coprifuoco, è stato “Permette? Alberto Sordi” di Luca Manfredi che ho rivisto con grande entusiasmo ieri sera su Rai Uno.

Il film rappresenta, in qualche modo, il secondo capitolo delle biografie dei “mostri” della commedia italiana, che spero di cuore Manfredi vorrà proseguire, perché è un genere di film di cui abbiamo un grande bisogno.

Esattamente come quello su Nino Manfredi, anche questo film narra “le origini” del più celebre volto del cinema italiano raccontando anche un pezzo di storia italiana.

Premetto che considero “In arte Nino” (girato in gran parte a Terni, e vincitore del premio Gastone Moschin e dell’Angelo per il migliore attore non protagonista al Popoli e Religioni – Terni Film Festival) un capolavoro inarrivabile, sia per la presenza di uno dei più grandi attori italiani contemporanei (Elio Germano) sia perché fatto dalla persona che meglio di chiunque altro poteva raccontare Nino Manfredi, che non è solo il figlio ma anche un collega che ci ha lavorato molto.

Inevitabile, quindi, che questo secondo capitolo dovesse uscirne penalizzato. Ed effettivamente devo riconoscere che non mi ha convinto del tutto. D’altra parte già le premesse erano agli antipodi rispetto all’altro progetto visto che in questo caso i familiari di Sordi si sono addirittura dissociati.

Edoardo Pesce si è indubbiamente appassionato al personaggio anche più di Elio Germano (basti vedere il video che ha fatto in questi giorni): il problema è che Germano era Manfredi, mentre Pesce fa un’imitazione di Sordi: senza dubbio riuscita, ma pur sempre un’imitazione, come tante che abbiamo visto in questi anni (da Guzzanti a Tortora) e che dopo 90 minuti finisce per diventare stucchevole. Anche Lillo ce la mette tutta per fare Aldo Fabrizi, ma anche lui deve compensare la totale mancanza di somiglianza fisica con una imitazione piuttosto forzata (e perde il confronto con quella di Antonello Fassari in “Celluloide” di Lizzani).  ma il doppio salto mortale – quando Pesce fa Sordi che fa Fabrizi fatto da Lillo – è fenomenale.

Alberto Paradossi nel ruolo di Federico Fellini è molto simpatico ma non ricorda minimamente il regista romagnolo,e anche lui deve vedersela con un precedente ingombrante: Sergio Rubini, ingaggiato dallo stesso Fellini per “Intervista”).

Più riusciti sono i personaggi di Vittorio De Sica e Corrado Mantoni. Va detto che comunque il compito di tutti – in questo caso – era assai più ingrato rispetto al film precedente, perché si tratta di personaggi ben più radicati nell’immaginario collettivo di quanto potesse essere – ad esempio – il Buazzelli di Fresi. Lo stesso Alberto Sordi, d’altra parte, è un personaggio ben più inflazionato di Manfredi, e – di conseguenza – più difficile da interpretare.

Detto questo, il film è una bellissima storia di un sogno inseguito con determinazione e cocciutaggine, racconta tanti aspetti poco conosciuti di Sordi (come la storia d’amore con Andreina Pagani, il rapporto morboso con la madre, l’amicizia con Federico Fellini), senza farne un santino: Sordi ne esce non solo come un grande artista, ma anche come un uomo molto individualista, e che – alla fine dei conti – riesce a raggiungere il successo anche grazie ad una rete di relazioni che intesse con determinazione.

Il cast è tutto in stato di grazia: oltre ai già citati, la deliziosa Martina Galletta nei panni di Giulietta Masina, Guido Roncalli Di Montorio, il quelli del direttore dell’Eiar, Paolo Giangrasso in quelli del fratello, Paola Tiziana Cruciani (la madre) Giorgio Colangeli (il padre), Pia Lanciotti (Andreina Pagnani) e tantissimi altri. La sceneggiatura è di ferro, i dialoghi mai banali.

Davvero la speranza è che il ciclo continui con Gassman, Tognazzi (certo qui avrebbe la concorrenza di Ricky!) o – perché no – Mastroianni: c’è Favino che è già pronto.

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