10 anni di Formula E: l’automobilismo sostenibile

 di Fabrizio Donatelli

Tutto inizia la sera del 3 marzo 2011, quando il Presidente della Federazione Internazionale dell’Automobilismo Jean Todt e l’imprenditore spagnolo Alejandro Agag, riunitisi a cena in un ristorante di Parigi, si mettono a discutere sulla possibilità di creare una serie motoristica alternativa a quelle tradizionali, in grado di dimostrare le potenzialità della mobilità sostenibile.

L’idea viene immediatamente trascritta sul retro di un tovagliolo e quei pochi scarabocchi diventeranno poi l’embrione di ciò che oggi conosciamo come Formula E, ossia una categoria dedicata esclusivamente a monoposto spinte da motori elettrici.

Il progetto si realizza il 13 settembre 2014, giorno in cui, all’interno del Parco Olimpico di Pechino, va in scena il primo Gran Premio della storia, che gli addetti ai lavori chiamano “ePrix”.

Da allora – a metà aprile 2021 ­­- si disputeranno altri 72 ePrix, prevalentemente nel cuore di diverse grandi città del mondo (secondo la filosofia del CEO Agag, che è quella di portare tale spettacolo tra la gente): dal Battersea Park di Londra all’ex aeroporto Tempelhof di Berlino, dalla Baia di Biscayne a Miami al porto di Brooklyn a New York, da Les Invalides di Parigi al Principato di Monaco. Passando per il circuito cittadino dell’EUR a Roma, dove si è corso nel 2018, nel 2019 e pochi giorni fa con un doppio round.

Il tutto in poco più di sei stagioni. E a partire da questa – la settima – la categoria possiede pure la prestigiosa denominazione di Campionato Mondiale.

Anche se case automobilistiche di fama mondiale sono già presenti dal principio. Basti pensare ad Audi, Mahindra e Renault (sostituita da Nissan dalla stagione 5), a cui in seguito si sono aggiunte Jaguar, DS, BMW, Mercedes e Porsche. Audi e BMW hanno già annunciato il loro abbandono al termine della stagione attuale, ma altri importanti costruttori sono pronti a subentrare.

Per non parlare poi dei piloti che si cimentano o si sono cimentati in questa serie. I nomi più illustri sono l’ex ferrarista Felipe Massa, gli italiani Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi, un nipote d’arte come Bruno Senna e alcuni figli d’arte come l’ex campione iridato di F1 Jacques Villeneuve, Nicolas Prost e Nelsinho Piquet, quest’ultimo capace di vincere il titolo nella stagione inaugurale. Anche le successive sono andate a gente con esperienza nella classe regina delle quattro ruote. Sebastien Buemi infatti ha trionfato nella seconda stagione, Lucas Di Grassi nella terza e Jean Eric Vergne nella quarta e nella quinta.

Tuttavia sono loro stessi a testimoniarci che la Formula E è un mondo abbastanza differente da quello delle competizioni tra mezzi a combustione, e a vincere non è solo il più talentuoso, ma anche il più abile a gestire l’energia a sua disposizione.

E allora vediamo più nel dettaglio qualche aspetto tecnico che caratterizza questa categoria fin dalle origini. Gli elementi costitutivi fondamentali delle vetture di Formula E sono in sostanza quelli presenti sulle auto elettriche più comuni (naturalmente con prestazioni ben più elevate): un pacco di batterie agli ioni di litio, un inverter che – per definizione – converte la corrente continua dell’accumulatore in corrente alternata, e un motore che tramette la sua potenza e la sua coppia alle ruote.

In particolare il motore e l’inverter – i componenti principali del cosiddetto “powertrain” – sono sviluppati liberamente da ogni costruttore, e lo stesso vale per il cambio (scelto ormai a un solo rapporto da ogni scuderia) e il sistema di raffreddamento. Mentre uguali per tutti sono il telaio, ad opera della Spark Racing Technology in collaborazione con un’eccellenza italiana come la Dallara, e l’impianto frenante, fornito da un altro marchio di spessore del nostro Paese: Brembo. Almeno per quanto concerne la parte anteriore.

Perché i freni posteriori, infatti, presentano un sistema tutt’altro che irrilevante chiamato “regen”. Questa tecnologia fa sì che in fase di frenata il motore diventi un generatore, recuperando quindi una quota dell’energia meccanica data dal movimento del veicolo e trasformandola in energia elettrica, che a sua volta viene re-immagazzinata nelle batterie per essere riutilizzata (aumentando quindi l’autonomia).

La “frenata rigenerativa” si attiva anche semplicemente praticando quello che gli anglosassoni chiamano “lift and coast”, ovvero alzare il piede dall’acceleratore (“lift”) e lasciar andare la macchina (“coast”). Una tecnica che i piloti solitamente usano pochi istanti prima di passare alla vera e propria staccata.

Lo scopo è proprio quello di non rimanere a secco negli ultimi frangenti della corsa, e le batterie hanno giocato e continueranno a giocare a un ruolo di primissimo piano nell’evoluzione di queste monoposto.

Gli esemplari di prima generazione (le cosiddette “Gen1”) avevano una potenza di 180 kW (che arrivava a 200 in qualifica), un’accelerazione che li portava da 0 a 100 km/h in circa 3 secondi (merito soprattutto di una coppia straordinaria, grande peculiarità dei veicoli elettrici), e una velocità massima di 225 km/h. Malgrado una massa di 880 kg, influenzata proprio da un ingombrante pacco batterie (prodotte dalla Williams) del peso complessivo di 320 kg. Batterie che duravano mediamente 30 minuti, costringendo i concorrenti a una sosta ai box verso metà gara per mettersi al volante di una seconda vettura.

Un significativo salto in avanti è stato compiuto nella quinta stagione con le “Gen2”, auto che, per la loro forma, hanno subito richiamato alla mente la celebre Batmobile. La potenza è salita a 200 kW (250 in qualifica), il tempo per andare da 0 a 100 km/h è diminuito a 2,8 secondi e la velocità massima è schizzata a 280 km/h. Il peso delle batterie (stavolta marchiate McLaren) ha raggiunto i 385 kg (contenendo comunque l’incremento totale del peso della macchina a 900 kg, conducente incluso), ma d’altro canto la loro capacità di accumulo di energia è praticamente raddoppiata da 28 a 54 kWh, in modo tale da consentire a ogni singola monoposto di percorrere (senza soste) tutta la gara, della durata di 45 minuti più un giro.

Le cosiddette “Gen2 Evo” – cioè le vetture che avremmo dovuto veder gareggiare dalla stagione in corso, ma che, a causa della pandemia, faranno la loro comparsa solo in quella che verrà – saranno il risultato di ulteriori modifiche, che riguarderanno specialmente l’aspetto aerodinamico. Le Formula E sono state fin dall’inizio concepite con una resistenza all’avanzamento ridotta al minimo, proprio per aumentare il più possibile l’efficienza delle batterie. Ma gli ultimi ‘ritocchi’ pare si siano mossi nella direzione opposta.

In ogni caso già si parla dei bolidi che rimpiazzeranno – dalla nona stagione – quelli che osserveremo l’anno prossimo. Le “Gen3” avranno una potenza di 300 kW (350 in qualifica) e una velocità massima che potrebbe superare i 300 km/h. Frutto di mezzi che peseranno non oltre 780 kg, grazie anche a un pacco di batterie (la cui produzione sarà di nuovo affidata alla Williams) che sarà più leggero di un centinaio di kg rispetto a quello odierno, pur mantenendo una capacità tra i 49 e i 51 kWh. Un’altra grande novità sarà il ritorno dei pit stop, ma stavolta per un ‘rifornimento’ rapido (intorno ai 30 secondi) mediante delle innovative colonnine di ricarica. Colonnine che sono state al centro delle polemiche proprio in occasione del secondo appuntamento nella Capitale. Veniva infatti contestato che esse, realizzate da EnelX (appartenente al gruppo Enel, che è partner energetico ufficiale del campionato sin dalla stagione d’apertura), fossero collegate a dei generatori alimentati a diesel. Accusa rispedita al mittente, almeno per quanto riguarda strettamente le monoposto di Formula E, ricaricate invece con generatori che utilizzano una sostanza riciclata, la glicerina vegetale, emettendo così livelli di polveri sottili inferiori a quelli emessi da un generatore elettrico.

D’altronde lo scetticismo di tanti detrattori – ancora nostalgici del rombo assordante dei vecchi motori aspirati, e/o perplessi sui metodi di produzione e smaltimento delle batterie – non è mai mancato in questi anni.

Ciononostante l’interesse per la Formula E è in continua crescita, a tal punto che Malcom Venville, il Premio Oscar Fisher Stevens e la superstar hollywoodiana Leonardo Di Caprio (da sempre molto attento alle tematiche ambientali) hanno deciso di girare un docufilm su di essa, dal titolo “And we go green”. E in conclusione possiamo affermare che questa categoria, al di là delle battaglie che offre la pista, funge da laboratorio per sperimentare tecnologie sempre più all’avanguardia. Con l’obiettivo di renderle, in un futuro molto breve, accessibili a una vasta fascia di popolazione. Le batterie con maggior durata e minori tempi di ricarica, ad esempio, potranno presto diventare realtà anche per le vetture stradali.

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